Di Mario Raggio
È curiosando nei cassetti di mio nonno che trovai le foto di Mnemopoli, la città dei ricordi.
La prima foto che presi in mano era quella scattata nella piazza principale della città. Si vedeva il grande campanile, così imponente che pareva di sentire le campane rintoccare, ai piedi di questo c’erano dei bambini che giocavano a palla usando il muro come porta.
Mi bastò guardarla per un attimo affinché mi immergessi in quel mondo al di fuori del tempo. Eccomi, in quella piazza così familiare. Mi guardo attorno e vedo tutto ovattato, faccio due passi ed ecco che uno dei bambini mi passa la palla e mi chiama per nome. Provo a calciarla ma mi sembra enorme, faccio per parlare ma non riesco. Mi stropicciai gli occhi e continuai a guardare le foto.
Le altre foto le scorsi velocemente, raffiguravano vicoli, bar, fontane; insomma, niente di che. Stavo per rimettere le foto nel cassetto quando me ne cadde una. Mi chinai per raccoglierla e vidi che era la foto di un camino acceso.
Guardandola si poteva sentire odore di polpette. Rieccomi catapultato un’altra volta a Mnemopoli, stavolta dentro una casa dal soffitto alto e dal pavimento in pietra. Il camino è acceso e da uno stereo suonano delle canzoni natalizie. Un’anziana signora un po’ panciuta sta sfornando delle polpette incredibilmente attraenti. Aspetto che la signora si allontani e sgattaiolo nascondendomi dietro al grande tavolo. Non appena arrivato davanti al forno sento di nuovo chiamare il mio nome; è la voce di mia nonna, ne sono sicuro. Prendo di fretta una polpetta e la mangio.
Mamma come scotta! Mi ripresi, sistemai le foto e le rimisi nel cassetto, consapevole che sarei potuto tornare a Mnemopoli quando avrei voluto e l’avrei sempre trovata così, l’unica città in cui il tempo non scorre e si può vivere un presente che non è più.
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