di Silvia Mirenghi
Di sicuro il 10 agosto per me c’era solo la destinazione. Già nei giorni antecedenti alla partenza una serie di emozioni contrastanti si affastellavano nella mia mente.
Lo zaino era pronto, pensavo di non aver dimenticato niente ma era carico, molto carico.
Ad aumentarne il volume non erano certo magliette, pantaloncini, prodotti cosmetici o altro: ciò che pesava davvero era il timore di non farcela.
Se almeno lo avessi razionalizzato mi sarei lasciata alle spalle le mie insicurezze e sarei partita con un senso di libertà, di tranquillità interiore. E invece no…
Ciò che mi appesantiva le gambe, mi procurava palpitazioni, sbalzi d’umore e crisi di pianto non erano paure legate all’organizzazione del mio spostamento ma un tarlo interiore che scavava inesorabile la distanza tra me e la mia meta. Quel rovello aveva un nome: uscita dalla comfort zone.
Giunta sul luogo insieme alle mie compagne ESF le mie ansie ed emozioni si sono dovute rassegnare all’evidenza: non ero sola, non più, pertanto non potevano più sopraffarmi.
La Mammoletta, un porto sicuro: per chi è ospite e per chi, come me, vi giunge con l’obiettivo di conoscere e farsi conoscere senza filtri, aprendosi all’altro.
Tutto ciò è possibile solo se gli obiettivi sono prefissati ed effettivamente raggiungibili: proprio per questo ad ogni gruppo corrisponde un tema da sviluppare, nel nostro caso “Icaro”. Così come il figlio di Dedalo, le ali, strumento prezioso per innalzarsi da un terreno vischioso, paludoso, quale è tutto ciò che ci lega alle nostre difficoltà personali, devono essere usate con intelligenza e previdenza. Icaro, non curante del fatto che la vicinanza al sole avrebbe sciolto le sue ali di cera, spreca una grande opportunità e precipita nuovamente nella miseria terrena. Al contrario noi tutti, novelli Icaro, abbiamo accolto sfide e novità soprattutto rivolte a noi stessi e la presenza di tutor ha consentito a noi tutti di spiccare un volo mirato e protetto. Tutte le attività proposte da G. e M. sono state recepite e personalizzate.
L’intreccio di storie e situazioni, prima di allora lontane dal mio mondo, ha determinato un cocktail di emozioni, andando a stimolare i miei punti più sensibili e rendendomi inerme dinanzi a quella valanga emotiva.
Ho trovato un porto sicuro di tipo circolare: il nostro gruppo, non appena formatosi per gli utenti, e le due tutor M. e G. per noi volontarie.
Il porto ha la forma di un’insenatura, di un braccio che accoglie e ripara senza giudicare, ma che consente ad animi irrequieti una sosta di riflessione, un momento di pace solo apparente poiché tante sono le emozioni che si manifestano nel contatto con la natura, nella lontananza dalla quotidianità, dalla concentrazione su se stessi e sugli altri.
Ciò che ho portato con me e di cui voglio essere messaggera è che da un crollo si può riemergere più forti di prima, con il giusto supporto e che non è importante il tempo impiegato per il raggiungimento del risultato ma il modo con il quale si ottiene.
Ad ogni viaggio facciamo in modo che corrispondano porti intermedi, dove riprendere fiato, interrogarsi, riflettere sui propri limiti prima di approdare alla propria terra.
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