di Marzia Inzeo
La Mammoletta è un’isola nell’isola.
È uno spazio immerso nel verde, dove, se lo si percorre fino in fondo, gli alberi si fanno sempre più grandi e folti, come a volerlo proteggere dal mondo fuori.
Qui il tempo è condensato, anche se i giorni passano in fretta.
Alla Mammoletta si sta insieme ventiquattro ore su ventiquattro. Ogni giornata è scandita da momenti di condivisione a tavola, momenti dedicati alle attività, serate di giochi e divertimento in Anfiteatro, momenti di pausa che poi pausa non è a meno che non si è tra i primi a prendere possesso di un’amaca!
Quando mi siedo la mattina per la colazione mi piace osservare i loro visi: c’è chi ancora dorme; chi è impaziente perché ha fame; chi arriva in ritardo e si lamenta perché ha poca scelta; chi ha voglia di parlare e chi no, come in una famiglia, ed è così che in qualche modo mi sento.
C’è chi ha l’urgenza di leggere un pensiero d’amore o di gratitudine scritto per noi, e mentre ascolto mi interrogo su come la commozione per me a volte possa diventare un fardello così difficile da sostenere.
La Mammoletta è una comunità e in quanto tale ha delle regole, degli orari e dei turni, per poter convivere pacificamente, ma soprattutto per creare delle direzioni, perché può capitare di smarrirsi. Ed è una prova per me che sono abituata a non avere alcun limite nella gestione dei miei tempi, dei miei spazi.
Condividere vuol dire essere pazienti, aspettare che sia il tuo turno, saper stare, rilassarsi e godere delle relazioni che ti circondano. Colgo ancora una volta l’opportunità di domandarmi: io in che direzione sto andando?
Tra i nostri obiettivi alla Mammoletta c’è quello di condurre un Campus, ideato e coordinato da Giorgia Dell’Uomo, una tra i responsabili della formazione di Educatori senza frontiere.
L’attività proposta nel Campus, ispirata ad Icaro e al suo spingersi oltre i limiti, ci ha fatto sperimentare la sensazione di volare, in alto, arrampicandoci l’un l’altro con la consapevolezza di poterci fidare ciecamente del gruppo, che è lì per sostenerci e mai e poi mai ci lascerebbe cadere.
Non c’è metafora che meglio rappresenti il senso di questa comunità.
Qui ci sono persone che si prendono cura dei ragazzi da anni; ci sono ragazzi che sono qui da più tempo, che hanno fatto un loro percorso e che si prendono cura dei nuovi arrivati, dei fratelli minori.
Qui si impara ad ascoltare, ad accogliere, a contenere gli stati d’ansia, propri e di chi ti è accanto; si impara a collaborare, ad amare e a vivere.
Si impara a sopportare il buio per poi guardare oltre.
Durante l’attività nell’improvvisazione i ragazzi sono maestri; scrollandosi di dosso paura e inadeguatezza, immersi in quel presente che è la cosa più preziosa adesso, e abili nel lasciar andare le emozioni che guardano in faccia, talvolta con inaspettata ironia, plasmano pian piano una nuova coscienza.
In quel meraviglioso Anfiteatro abbiamo giocato, camminato, corso, ci siamo fusi in un solo ritmo e abbiamo ballato una danza magica.
Vado col ricordo di un disegno creato durante l’ultimo laboratorio Esf: un piccolo Uccello nero arroccato e un Uccello più grande colorato, libero di volare, ma con un po’ di nero anche lui.
I due Uccelli guardano uno nella direzione dell’altro. L’Uccello piccolo sa che l’Uccello grande è lì pronto ad aiutarlo a spiccare il volo.
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