Quest’anno gli educatori e le educatrici senza frontiere non partiranno. Ci prenderemo il giusto tempo per rigenerarci ed essere pronti a preparare nuovamente lo zaino e portare avanti i nostri progetti in giro per il mondo.
Vogliamo però raccontare i nostri viaggi, partendo dalle foto più significative.
Buon viaggio insieme a noi.
Di Gabriella Ballarini
Questa foto è sempre stata importante, aveva dentro di sé tutto quello che ci vuole quando si parte per un viaggio senza frontiere: l’allegria, la relazione e il fare insieme.
Il ballo è la misura esatta di questi elementi, così come la formazione: è necessario il ritmo, l’armonia e la presenza. Adriàn era presenza pura, gioia, capacità di mettersi in relazione e di ballare e ridere a crepapelle.
Ho deciso di scegliere questa foto perché in questo tempo di dolore e perdite, resta tutto quello che abbiamo costruito insieme e che costruiremo ancora, ma tu, amico mio, non ci sarai più.
La mia collaborazione in Bolivia è iniziata nel 2013 con un primo viaggio, bellissimo e tanto difficile. Sì, perché la terra boliviana non è sempre facile, è fatta di distanze complicate da percorrere, strade sterrate, infinite foreste lontane dal mondo. Ecco, fermiamoci un attimo a questa espressione: “lontane dal mondo”. Che cosa significa? Significa senza ospedali, senza acqua, senza luce, senza gas, senza strade. Tutto questo senza è pieno di persone. Persone che ogni giorno si guadagnano la vita, proteggendo i propri cari, piantando i campi, aspettando la pioggia.
Uscendo dalla Bolivia amazzonica poi troviamo la Bolivia rurale dove c’è un ospedale, magari, dove l’acqua, in alcune case, esce dai rubinetti e la luce si accende con gli interruttori.
Qui ho trascorso il mio tempo di viaggio, per sei estati. Sei estati della mia vita, nelle quali ho costruito le mie relazioni, un incontro alla volta, come fossero muretti bassi, quelli delle passeggiate vicino al mare, dove se sei stanco ti puoi sedere e metterti a chiacchierare. Negli ultimi 3 anni, finalmente, conoscendoci, siamo riusciti ad organizzare serrati programmi di lavoro, ore ed ore di formazione con docenti, genitori, gruppi informali sul territorio. Il mattino, il pomeriggio e la sera, centinaia di ore, decine di incontri, indimenticabili.
E oggi sono qui, seduta al mio tavolo di lavoro, con tutti i miei libri e quaderni, con le mie penne e i fili, da sola, con la musica che esce dalla radio o con il rumore della strada. Ma la Bolivia c’è, nel mio schermo del computer, ogni giorno da tre settimane, per una formazione che non sarà la stessa cosa, ma che è qualcosa.
Qualcosa di importante.
E così metto insieme tutto e scelgo questa foto.
Adriàn, uno dei professori con cui ho lavorato benissimo da subito, con il quale ho riso e ballato e che così tanto mi ha insegnato con la sua umiltà e la sua intelligenza, non c’è più. Con la sua scuola i corsi erano in programma a Settembre, ma lui non si connetterà.
Ho avuto paura, da quel momento, una paura travolgente per tutti i miei colleghi boliviani, li ho sentiti doloranti durante le lezioni su Zoom, molti con la febbre, dolori alla schiena, pesantezza al petto, stanchezza e una dosa infinita di incertezza per il futuro.
Ma erano lì, tutti insieme, con i nipoti che aiutavano a silenziare il microfono o ad accendere la webcam, nella tenerezza di chi scopre gesti nuovi e si aggrappa con tutte le sue forze alla vita.
Lavorare sulla scrittura ogni giorno con loro, mi ha regalato la misura del mondo, una misura che non si lascia misurare, non con i nostri metri, non con le nostre verità.
“Lontane dal mondo” quelle finestre dalle quali vedo i miei colleghi a sei ore di fuso orario, quegli sguardi che mi si sono cuciti addosso.
Questa foto ci racconta una storia importante, ci dice che il mondo non sono io, è una danza che attraversa meridiani e paralleli, è una scuola senza computer, è un computer senza internet, è un professore che farà di tutto per esserci e per dire anche a te che stai leggendo: io ci sono.
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