In questi giorni di “sosta”, i nostri Educatori senza Frontiere ci racconteranno il loro viaggio, il loro attraversamento di questo tempo, per non smettere di viaggiare mai, per non chiudersi mai dentro le frontiere.
di Marco Bocchi
Mi era stato chiesto qualche giorno fa di fare una riflessione particolare, partendo dalla situazione che stiamo vivendo, e cercare di dare degli spunti per poter ripartire una volta conclusa l’emergenza sanitaria.
Mi rendo conto ora che questa riflessione è azzeccatissima anche per questo diario, quindi, da buon ecologista, riciclo e riuso le mie parole, condividendole con voi.
Questo pensiero parte da un cortometraggio Pixar intitolato “La Luna” che vi consiglio di recuperare e che, secondo me, parla di sguardi.
In questo piccolo film vediamo una piccola famigliola formata da un bambino, suo padre e suo nonno, che hanno un particolare compito: salire sulla luna, attraverso una scala, per spostare delle piccole stelline sulla superficie del nostro satellite preferito, e cambiare così le varie fasi lunari. Il lavoro dei nostri personaggi viene però interrotto da quella che sembra una catastrofe: una stella gigantesca cade e rimane incastrata sulla luna (è interessante evidenziare che solo alla seconda visione del video, lo spettatore nota che dentro la stella si intravedono già delle stelline più piccole).
Sappiamo tutti che è appena passata la Pasqua, allora non ho potuto fare a meno di notare una cosa: davanti a questa stella, a questa catastrofe, ci vengono presentati 3 tipi di sguardi, che richiamano quelli degli apostoli davanti al sepolcro vuoto.
Mi spiego: nel testo greco del vangelo di Gv 20, 1-10 ci sono Pietro e Giovanni che arrivano al sepolcro, ed in questa circostanza (anche qui un’apparente catastrofe) vengono utilizzati 3 diversi verbi greci per indicare l’azione di guardare: il primo è un “vedere le cose esteriori”, con Giovanni che arriva al sepolcro, vede la pietra capovolta, vede che il sepolcro è vuoto e si ferma lì; il secondo è un “vedere ispezionando” (come un detective), e qui ci viene presentato Pietro che entra nel sepolcro, nota le bende ed il sudario, e possiamo quasi immaginarcelo con una certa frenesia che cerca degli indizi per capire che fine ha fatto Gesù; il terzo è un “vedere che c’è qualcosa di più” (uno sguardo di fede che apre ad altre possibilità), ed è a questo punto che Giovanni entra nel sepolcro, vede, capisce e crede.
Nel cortometraggio succede la stessa cosa: i protagonisti vedono che quella stella gigantesca ha bloccato il loro lavoro, sono spaesati e non sanno come comportarsi; poi il padre ed il nonno cercano di spostarla facendo leva con i loro attrezzi, fanno un lavoro di analisi, osservano e valutano come poterla spostare; ma è solo il bambino che, fermandosi e osservando bene ciò che ha davanti, intuisce e vede che tutto questo nasconde qualcosa di più, cambia il punto di vista salendo sopra la stella e la rompe liberando le stelline più piccole.
Penso proprio che questa quarantena ci stia chiedendo proprio questo: possiamo osservarla e cercare di scansarla, aggirarla, far finta che non ci sia, ma sarebbe un errore. Dobbiamo riuscire a vedere le stelline dentro questa situazione, dobbiamo cambiare il nostro punto di vista e liberare queste stelle che si riveleranno una benedizione.
Una volta un mio amico che era malato di leucemia mi disse che la situazione che stava vivendo poteva sembrare una maledizione, ma era una benedizione, perché gli aveva permesso di affinare delle qualità che altrimenti non avrebbe potuto affinare.
Penso che la chiave sia questa: se riusciamo a vedere la benedizione che ci circonda, ne usciremo sicuramente più forti.
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