In questi giorni di “sosta”, i nostri Educatori senza Frontiere ci racconteranno il loro viaggio, il loro attraversamento di questo tempo, per non smettere di viaggiare mai, per non chiudersi mai dentro le frontiere.
Scritto da Chiara Miragliotta
Molte cose le ho spesso date per scontate, quelle piccole azioni che si fanno quotidianamente senza accorgersene perché sono “normali”, quelle che ormai fai per routine perché sei abituato: ti alzi, ti lavi, fai colazione, ti vesti, esci di casa, vai a prendere il pullman, poi la metro, arrivi in università, stai con i tuoi compagni a seguire le lezioni per tutto il giorno poi torni a casa.
Spesso ho anche detto “vabbè poi ci organizziamo per vederci” e poi non mi sono mai organizzata perché ho sempre trovato qualcosa che doveva essere fatto prima di vedere quella persona perché era più importante, ero convinta che per rivedere un vecchio amico o una vecchia amica che non sentivo da un po’ ci sarebbe sempre stato tempo, ma più avanti.
Spesso non ho abbracciato una persona perché semplicemente non mi andava, perché quella sensazione di delle braccia non mie attorno al mio corpo mi terrorizzava, lo vedevo come un’invasione della mia privacy, come se qualcuno stesse oltrepassando la mia “comfort-zone”, volevo che i miei spazi venissero sempre rispettati; inoltre stringere un corpo non mio tra le braccia non è una cosa che facevo con chiunque, perché mi prendeva sempre un senso di “vergogna” che non so spiegare, ma mi frenava e proprio non riuscivo a farlo e quelle poche volte che mi spingevo oltre a questo mio limite l’altra persona sentiva tutta la mia rigidità e questo non faceva bene nemmeno a lui/lei.
Spesso non ho detto “ti voglio bene” o addirittura “ti amo” per paura di rovinare tutto, ho sempre avuto la paura del “non essere ricambiata”, quindi queste semplici parole le dicevo solo dopo che erano state dette a me, non sono mai stata la prima a dire “ti voglio bene” o “ti amo” a una persona; per me è sempre stato “anche io”, spesso senza nemmeno pronunciarle quelle parole che mi terrorizzavano tanto.
Spesso ho anche lasciato andare persone perché non mi meritavano, pensavo io… un po’ da spaccona vero?
Era presunzione e paura che sembrava quasi arroganza… orgoglio! Non riuscivo a gestire questo sentimento, lo mascheravo pensando fosse “amor proprio”, che invece è molto importante avere.
In questi giorni mi sono tornati in mente tutti questi aspetti della mia vita e ora un po’ mi fa ridere aver sempre trovato una giustificazione al mio comportamento, essermi raccontata una “storiella” per sentirmi meglio.
Mi fa ridere perché ora mi manca la mia quotidianità;
Ora vorrei vedere quelle persone liquidate con un “ci sentiamo”;
Ora mi manca abbracciare le persone che mi stanno accanto;
Ora mi pento di quelle parole non dette;
Ora vorrei non aver lasciato vincere l’orgoglio e aver capito prima la differenza tra questo e l’amor proprio: se ti far star male è orgoglio, se senti che dopo aver allontanato una persona, per quanto ci tenessi, stai meglio con te stessa e con gli altri allora è amor proprio.
Mi sono resa conto di una cosa molto importante: sono proprio gli istanti che possono sembrare insignificanti mentre li vivi che in realtà ti riempiono il cuore.
Come vedere un film con qualcuno, parlare anche solo 10 minuti con una persona faccia a faccia, ridere per una battuta pessima, stare semplicemente insieme a far nulla.
Istanti che ti restano nel cuore e non se ne vanno.
Quando rivivrò questi momenti non mi aspetto tante cose, vorrei solo apprezzarli di più e comprendere meglio la loro importanza.
Questo è l’augurio che faccio a tutti voi: semplicemente VIVETE, non permettere che questo periodo vi faccia restare chiusi, oltre che in casa, anche in voi stessi.
E non temete di dire cosa pensate per paura di restarci male dopo… al massimo avrete il tempo di rimediare o… di convincervi che avete fatto bene!
Un abbraccio virtuale a tutti, con la speranza di rivederci presto!
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