di Martina Fossati

Sono a casa da un giorno e già mi ritrovo a dover rispondere a mille domande sul viaggio appena concluso. A chi mi chiede com’è andata vorrei raccontare tutto, senza tralasciare neanche un piccolo particolare. Sono tante le cose da dire, le emozioni provate. Mi sforzo però di pensare a cosa è stato essenziale, fondamentale; a cosa devo raccontare a TE, che mi chiedi del mio viaggio. Stanotte la mia mente non ne vuole sapere di dormire, perché vaga tra i paesaggi e i volti incontrati in Honduras, ancora così vivi in me.

Allora, in questa notte insonne, decido di ripercorrere tutto quello che ho vissuto, facendo attenzione a non dimenticarmi nulla, provando però a focalizzarmi sui particolari che hanno reso speciale questo mese. Mi rendo conto che tutto è racchiuso nelle mani dei ragazzi che ho incontrato a Casa Juan Pablo II: le loro storie, i loro desideri, le piccole azioni quotidiane.

Tutto passa attraverso le mani.

Tra le tante mani che ho incontrato, ci sono quelle di Joshua. Mani lontane dalla propria madre e dalle due sorelline che vivono negli Stati Uniti. Mani che hanno imparato ad aspettare, perché la domenica di visita non vedono mai arrivare nessuno. Mani che ho visto a un passo dall’abbandonare il programma, ma che nonostante la fatica hanno deciso di restare. Mani che chiedono di poter recuperare l’attività del giorno prima, perché non hanno potuto parteciparvi. Mani che, nonostante l’operazione al dente e la gamba dolorante, non si sono mai tirate indietro e hanno partecipato a tutti gli spettacoli della carovana.

Poi ci sono le mani di Rudy, uno dei “fratelli maggiori” che è all’interno della casa da dieci mesi. Le sue sono mani che si alzano tutti i giorni prestissimo, che lavorano sotto il sole fino a tardo pomeriggio e quando tornano a casa rientrano nei turni di pulizia. Mani che nonostante la fatica della giornata, tutte le sere ti chiedono se vuoi fare una partita a calcetto prima di andare a dormire. Mani che sono da esempio per gli altri ragazzi della casa. Mani che sognano di andare lontano, perché “in Honduras ci sono già nato, non voglio morire qui”.

Ho incontrato anche le mani giovani di Umberto, mani che sognano un futuro da informatico. Mani che ho visto entrare e prendere una strada diversa prima del previsto. Mani che hanno scaturito in noi molte domande e un po’ di sconforto. Mani che, per caso, abbiamo incontrato nuovamente e salutato da lontano.

Le mani che ho incontrato sono mani con un passato di dipendenza, che nella maggior parte dei casi hanno compiuto atti violenti e deluso le persone a loro più care. Mani che portano calli e tatuaggi di una vita passata in strada, all’interno delle bande.

Ma, queste stesse mani, sono le mani di ragazzi che hanno accolto una sfida, hanno indossato un naso rosso da clown e hanno preso una parrucca colorata cimentandosi in uno spettacolo di circo, facendo sorridere centinaia di bambini. Sono mani di ragazzi che ci hanno accolto calorosamente a ritmo di balli tipici, che hanno scelto di provare a cambiare, che lottano ogni giorno per avere un futuro migliore, che hanno desideri profondi e cercano di diventare protagonisti della propria vita.

Io, che sono partita con tanti dubbi e paure e che da quelle mani non sapevo cosa aspettarmi, ho riscoperto una bellezza infinita, che cercherò di raccontare a TE, che mi chiedi com’è andata in Honduras.

 

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