di Francesca Cervo
10 Giugno 2019
Sono stati convocati tutti i gli “incaricati dell’educazione” (è così che chiamano genitori/parenti) dei ragazzi della decima classe, ovvero ragazzi tra i 18 ed i 20 anni.
La suora messicana, responsabile di questa scuola ci ha riuniti per parlare di un tema che la colpisce molto: la violenza. Ha parlato ai genitori spronandoli ad essere più responsabili dei figli, più presenti, di spegnere la televisione e sedersi vicino a loro e chiedere come stanno.
Siamo in Africa.
L’angola è reduce da una guerra durata troppo o forse mai finita.
Nelle strade, nelle scuole si sente ancora un clima di instabilità e paura, dove la presenza dello straniero è vista ancora come il colonizzatore. Sono gli sguardi a parlare, i silenzi che incontri. L’educazione è vittima di tutto questo.
E’ difficile educare chi non si lascia conoscere, chi non ti accetta come compagno di passeggio, perché ti vede ancora come colui che ha tolto la libertà. Ed è difficile educare alla libertà chi è stato troppo tempo schiavo.
Non è facile educare all’amore, al bene fraterno, alla semplice serenità, se qui le parole che escono dalle piccole bocche, fin dai primi banchi di scuola, sono “ti voglio menare”.
Anche il gioco si trasforma in violenza, lanciare da una parte all’altra una pallina che deve colpire una persona al centro può sembrare un bellissimo gioco, non se poi vedi la violenza nel gesto, la cattiveria nel volto e nelle parole.
Nei ragazzi, vittime di questa scia di guerra, l’atteggiamento di difesa non permette l’apertura.
Non è facile educare alla semplicità se qui si vuole tutto per paura di perdere quello che già è stato perso, per paura di restare indietro un’altra volta.
Cosi la suora ci ha chiamato, per provare un’educazione alternativa a quella classica, per poter spiegare ai ragazzi cosa significa essere violenti verso il proprio fratello e cosa significa rispettarsi e rispettare chi ho davanti.
In questi giorni, ho partecipato agli incontri genitori insegnanti per ritirare i pagellini, e le parole “violenza e prostituzione” hanno riempito il mio quaderno degli appunti.
Guardo i ragazzi del centro e mi fa male la testa nel pensare a soluzioni, possibili modi di educare e accompagnarli in un atteggiamento di onestà, fiducia e rispetto.
Sento attraverso tutte queste situazioni, come se la guerra in Angola non fosse finita, devi essere pronto ad un possibile attacco perché c’è sempre una mina dietro l’angolo pronta ad esplodere.
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