Quest’anno abbiamo scelto come città per il nostro cammino L’Aquila, 100 uomini e donne hanno cammino e riflettuto attorno alla parola “ESILIO” sulla scorta del pensiero di Maria Zambrano, Ungaretti, Primo Levi e molti altri.
Da questo cammino sono nate narrazioni intense e interessanti che in questi prossimi giorni vi faremo conoscere. Buona lettura.
di Veronica Castellani
Città che ha tremato di dolore, di sofferenza, di paura, di distruzione, di perdita, di devastazione…e tante volte di bellezza!
L’Aquila sa bene come si trema di bellezza, come si riempiono le crepe con la luce della vita, la luce che appartiene anche a noi, educatori e educatrici senza frontiere.
Camminavamo ed eravamo scomode e scomodi, eravamo la stranezza in quella giornata di sole. Donne e uomini che camminavano indietro, in una città che sente il dolore di camminare indietro.
Eravamo occhi che scrutavano occhi: occhi chiusi, occhi resistenti, occhi scossi, occhi deboli, occhi che non vogliono essere scrutati.
Eravamo quelli che guardavano Dina – madre, così era descritta in quella grande foto appesa. Io l’avrei descritta donna, coraggiosa, che forse madre, fisicamente, non è più. Non lo so.
Eravamo persone che correvano, in contrasto con tutto ciò che ci circondava, per scappare da qualcosa che ci stava stretto, da occhi che non riuscivamo a sostenere, da dolori che interagivano in modo troppo feroce con la nostra quotidianità…scappavamo e conoscevamo l’esilio.
Eravamo persone che cercavano di comprenderlo quell’esilio, stando appesi allo zaino di chi ci stava dietro, di chi cercava di guidarci nell’inconsapevolezza del cammino.
Eravamo in ascolto dei rumori che da anni accompagnano la quotidianità di questa città: i cantieri eternamente popolati dagli operai, i pezzi di ferro che sbattono e rimbombano, i mattoni che continuano a cadere in quei lunghi tubi gialli che sono la luce di anni ed anni di ricostruzione, di rinascita.
Eravamo persone entrate, in modi diversi, più o meno enigmatici, nelle crepe dell’Aquila e dolcemente ci eravamo adagiati e fatti cullare dalla resilienza di quelle ferite.
Questa città non vuole occhi che scrutano, ma occhi che sappiano guardare oltre.
Finisce tutto, anche l’esilio. Ma il cielo no, quello non finirà mai.
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