di Lorenzo Bertoni
Sono da meno di un mese in Honduras e le mie mani sono già segnate dai calli e dal nero grasso con cui lubrifichiamo gli strumenti di lavoro.
Vivo in una comunità di recupero per tossicodipendenti dove ogni giorno si combatte per non ricadere nel baratro delle droghe e dell’alcool.
Ogni giorno lavoro, mangio e mi riposo a stretto contatto con ragazzi che hanno vissuto la strada, che sono entrati nell’inferno della dipendenza e che in alcuni casi hanno commesso atti orribili per soddisfare le necessità dettate dalla sostanza.
Ogni giorno che passa però mi convinco che questi uomini e questi ragazzi, ultimi tra gli ultimi, con la loro voglia di lottare e di non accettare un destino già scritto, possano insegnarmi valori che difficilmente potrei incontrare altrove.
Le giornate sono scandite dalle attività che io e i miei compagni di viaggio settimanalmente strutturiamo; teatro, laboratori di scrittura e di arte, cineforum e attività sportive. Ogni momento passato insieme ci mostra come la strada da perseguire sia possibile anche se ancora tremendamente complicata e carica d’insidie.
Come educatore credo fortemente che il lavoro e la progettazione educativa rimangano tra le poche soluzione al disagio di questi giovani e ogni incontro condotto, ogni laboratorio ed attività accresce in me questa consapevolezza.
Fuori dallo spazio protetto della comunità osservo come un contesto tanto degradato e profondamente violento possa generare spontaneamente un fenomeno, quello della tossicodipendenza, costantemente a livelli sproporzionati nel paese.
E allora la domanda sorge spontanea, chi è l’antagonista di questa storia, il personaggio che incarna valori negativi e da allontanare? Il ragazzo tossicodipendente che ha rubato o aggredito per drogarsi o i fautori di una situazione tanto complicata nei barrios più poveri della città?
Domande che non possono avere risposta.
Non resta che prendersi ulteriore tempo per rispondervi, magari passeggiando tra le deserte strade periferiche di El Paraiso tra un murales di una pandiglia (banda criminale tipica dei paesi latinoamericani) e un professore che ci racconta come l’Honduras sia un paese sotto una tacita dittatura che non provoca sdegno mediatico, dove la libertà di parola e di espressione non sempre sono garantite e come in uno stato fortemente militarizzato manchi però l’acqua potabile e l’elettricità sia razionata.
Gli effetti e le cause di tutto questo sono i ragazzi portatori di speranze e fragilità che ogni giorno guardo negli occhi e la cui sorte non interessa a nessuno.
Quasi a nessuno.
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