di Giulia Gallo
Mi piace pensare che il mio viaggio sia la somma di tutte le volte che non ho rinunciato.
Quando è iniziato? Sicuramente non il giorno della partenza. Credo anni prima, quando ho cominciato a fidarmi di ciò che mi suggeriva il cuore e a credere non solo nei miei traguardi ma anche nelle mie sconfitte, poiché ciascun cammino ha bisogno di un tempo per prendere forma e il tempo richiede di essere rispettato.
E così è stato: il mio viaggio in Bolivia! La sorpresa nel vedere quanto la costanza dei miei passi mi abbiano portata tanto lontana, fino a giungere a Santa Cruz de la Sierra.
Lontana sì, ma allo stesso tempo così vicina a me, sempre più dentro di me.
Mi chiedo quali siano le parole più adatte per raccontare, per far rivivere i miei sentimenti. “Mis palabras son como piedras preciosas..”. Parole per conoscersi o riconoscersi, per definirsi e definirci agli altri, rivelando chi siamo. “Yo soy..”, “Io mi chiamo..”. E qualcuno inizia ad accorgersi di te, inizia ad osservarti, a sorriderti, ad avvicinarsi.. anche se vieni da un paese distante e parli una lingua diversa. Nasce così la bellezza e l’incredibilità apparentemente casuale di un incontro. Ci si scambia parole: parole semplici, parole fragili, parole sentite.
Durante un’attività svolta insieme ai ragazzi adolescenti del Centro Fortaleza mi è stato chiesto di riflettere su cinque parole per me importanti e di scriverle. Ho scelto di regalarne una sola ai ragazzi: “presenza”. In essa era racchiuso tutto il mio desiderio di esserci, anche stando in silenzio. “Ci sono, sono presente qui, con voi”. Come dissi alle mie compagne di viaggio durante appunto una Parola.
Non sempre si posseggono le parole da dire. Un po’ come Thomas, il dolce bambino del libro “La grande fabbrica delle parole”, che vive nel paese dove per poter parlare bisogna avere i soldi per comprare le parole e inghiottirle. A volte mi sentivo come Thomas: all’apparenza senza parole in serbo ma con un gran sorriso e una gran voglia di sorridere insieme ai ragazzi. Allora si stava vicini, ci si guardava negli occhi: attimi trasformati in magia, grazie all’ascolto del corpo, delle sensazioni, del cuore.
Si rideva insieme ai ragazzi: scrivendo, disegnando, colorando, giocando, cantando.. ballando! “Giulia quando balli?”. Me lo chiedevano spesso. La musica colorava le pareti bianche di quelle stanze a Fortaleza. A volte bastavano anche suoni prodotti dai ragazzi, con il semplice utilizzo della loro voce. Ed io ci ballavo sopra.
“Ancora!”, mi dicevano.
Che gran parola ANCORA. Come quella conservata da Thomas per il suo giorno speciale, pronunciata come una dedica d’amore: “..MAS..”. La trovò abbandonata in un cassonetto, insieme a centinaia di altre parole. Proprio così sono nate le poesie dei ragazzi. Frugando e pescando tra le “palabras mezcladas”: solidaridad, amistad, sentimento, amor, familia. Erano le loro parole, che avevano scelto accuratamente e poi lasciate andare, pensando che al momento non servissero. Non serve avere fretta di utilizzarle tutte: le parole hanno un loro tempo.
Quelle cinque parole pescate sono germogliate e hanno dato origine all’esplosione di altre parole. Come le gemme di un albero danno vita alla bellezza più pura, così anche i pensieri e i sentimenti dei ragazzi si sono trasformati in vere e proprie opere d’arte.
Quanti significati, quanta vita dentro quelle frasi! Vita diventata anche un po’ nostra, dentro Fortaleza, un luogo che mai dimenticherò.
Ora è custodita dentro i nostri cuori e chissà, magari anche dentro i cuori dei ragazzi, dai quali si parte e si riparte per tornare a casa, con parole nuove: parole conservate in scrigni segreti, parole ricevute, parole donate, parole mai pronunciate o dette sottovoce.
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