Scritto da Gabriella Ballarini
Questa è la storia di Carmen, anche se io non la conosco la storia di Carmen.
Conosco però la storia di una lettera.
Era Martedi, eravamo nella scuola di Guayaramerin, una piccola città a un’ora da Riberalta. Guayarà ci ha ospitate un giorno solo, abbiamo incontrato gli alunni della scuola e poi, nel pomeriggio, anche i professori.
Una delle attività di quest’anno, è ripensare in profondità le radici del nostro lavoro educativo e una delle proposte è scrivere una lettera al proprio maestro/maestra. Una lettera che viaggi nel tempo e nello spazio, una lettera per riappropriarsi del proprio tempo passato per farlo diventare un tempo futuro, un futuro da riprendere in mano, come adulti, con gioia e maturità.
Si crea un cerchio con i fili di lana e quel cerchio diventa uno spazio sacro dentro al quale si raccontano le storie.
Ma la storia inizia prima, forse.
La storia inizia la settimana prima, inizia con Carmen.
Carmen è una professoressa in pensione, lei si occupa del coordinamento dei maestri di molte scuole, supervisiona, forma, insegna, coordina, viaggia e incontra. È una donna dal corpo pieno di energie, segnato dagli anni, accarezzato dalle esperienze. Carmen, pure lei, ha scritto la lettera ad un suo maestro e poi l’ha letta, in quel cerchio di fili di lana.
E così torniamo a Guayarà.
Uno degli alunni di Carmen era al corso e ha deciso che sarebbe stata proprio lei la persona a cui dedicare i suoi pensieri. Ha scritto una splendida lettera piena di gioia e rivoluzioni, di umanità e giovane saggezza, piena di cuore aperto e mani grandi. Ha scritto la lettera con la penna rossa e, alla fine della formazione, ha consegnato la lettera a Flavia dicendole: quando vedrai Carmen consegnale queste parole da parte mia.
La lettera si è posizionata in un punto dello zaino di Flavia, ha visto il tramonto infinito che colorava la strada buia, ha abitato la nostra stanza e oggi, mentre una musica di pianoforte rischiarava la stanza, eccola, la lettera, tra le mani di Carmen, confusa e commossa.
Carmen legge la prima riga e inizia a piangere, tremano le labbra, tremano le mani, trema il dito indice che riposiziona gli occhiali sul naso. Trema tutto, tremano i pensieri e le parole. Carmen legge, piega il foglio e poi rilegge e ripiega e poi prende il cellulare e, ancora tremante, manda un messaggio al suo alunno. Guarda ancora la lettera Carmen, con la tenerezza di chi scopre un tesoro all’improvviso, un tesoro grande che non si può comprare con nessuna moneta, un tesoro dal valore inestimabile, quel tesoro che raramente un’educatrice può tenere tra le mani come sta facendo ora Carmen.
E mi guarda quando fermo in uno scatto quella mano che trattiene il bene più prezioso.
E mi sorride e poi abbassa lo sguardo e poi ritorna nei suoi pensieri e ancora si commuove e socchiude gli occhi.
Ho sentito, in quel momento, un silenzio che non avevo sentito mai.
Le parole sono svanite, è rimasto il fermo immagine di un istante, quello magico, quello del sogno incarnato, quello dell’educazione come rivoluzione personale e universale, ho stretto idealmente tra le mani la mia personalissima maglietta rossa, ho rivisto la mia vita intera in quella mano che tremava.
La Bolivia, terra di sogni e di silenzi.
La Bolivia, bella e crudele.
La Bolivia delle storie piccole, quelle che non racconta nessuno, quelle che cambiano per sempre il corso della vita.
La Bolivia di Carmen e della lettera mai scritta, che un giorno l’abbiamo scritta veramente.
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