Scritto da Elena De Luca
Qui a Huambo da più di due settimane stiamo iniziando ad insegnare ai bambini il senso della Parola, del cerchio, del silenzio, a dire parole che non feriscano, che abbiano un tempo proprio, che non si accavallino con le altre.
Nascono parole nuove ogni giorno, in casa, tra me Fede e Monica.
Nascono tra quaderni sgualciti e i giochi con i bambini.
Qui a Huambo abbiamo una cassetta delle lettere fuori casa. L’abbiamo messa per i bambini affinché sappiano che le loro parole possono essere ben custodite e lette non appena ci svegliamo. Imbucano le loro lettere di notte quando nessuno li vede e vanno a dormire pensando a quando le leggeremo.
La parola si fa attesa, speranza ed emozione per chi la mattina intravede dei fogli bianchi e allerta casa che c’è della posta per noi.
Sono partita sapendo di aver lasciato in sospeso tante parole; altre invece non sono riuscita a dirle. Forse mi è mancato il coraggio o semplicemente non andavano dette.
Ci sono invece alcune parole che è giusto che vengano dette al di là di ogni traccia, confine, in nome dell’amore, del rispetto, dell’altro. Non possono prescindere da niente.
Penso alla bellezza nel rompere il silenzio, di lasciare che il pensiero si concretizzi; la sensazione di cercare tra le parole quella giusta che si incastri con quel momento.
Ci sono alcune parole che sono fatte per nascere ed essere dette in momenti precisi; se si sfugge da quel momento non hanno più senso. Allora si avrà il rimpianto della parola strozzata in gola. Il rimpianto è un enorme spreco di parole. Cosa me ne faccio di una parola non detta?
Altre parole le ho perse tra l’impotenza di non essere compresa e la sconfitta di non riuscire a farle mie realmente; altre provo a dimenticarle.
Appartengono al passato, ad un vecchio linguaggio spensierato senza linee costruite, ma segmentate tra orizzonti poco delineati.
Le parole sono impronte che non spazzi via ma che segnano solchi che a volte si fatica a colmare.
Altre parole, ho voluto cancellarle; non so se un giorno potranno mai servirmi non so neanche se hanno una scadenza.
Riscoprire la bellezza di guardare cose trascurabili in tempi diversi e sapere usare parole differenti per poterle descrivere.
La meraviglia di immaginare che mai avresti potuto usare e conoscere simili parole e il pensiero di doversi domandare dove e come l’hai imparata.
Il nostro è un mondo fatto di parole e di linguaggi. Ed è proprio quando non ne troviamo che ci sentiamo impotenti che pensiamo di non saper fare bene il nostro lavoro, di non esserne all’altezza.
Non riuscire a spiegare il motivo perché sia giusta una cosa piuttosto che un’altra, non riuscire a scavalcare le parole altrui così radicate da non poterle dissolvere di fa stringere lo stomaco e ti lascia senza parole.
Penso a quando non riesco ad interpretare le parole nascoste tra i silenzi e l’impotenza di non poterli rassicurare come vorrei.
Penso ai momenti in cui avrei voluto ricevere delle parole diverse e a quelle che non riesco a scrivere da quando sono qui.
Penso che dovremmo dirci molte più cose, tacere insieme se necessario, ed “ESSERE FELICI” per tutte le parole che dobbiamo ancora dire.
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