Scritto da Rosario Volpi
“Ho paura per mia mamma e i miei 4 fratellini a casa” mi ha risposto Gabriel, ieri sotto una delle verande di Ambalakilonga quando gli ho chiesto come stava, vedendolo pensieroso e triste.
Qui è appena ritornata la corrente, da ieri mattina eravamo rimasti senza. Il ciclone Ava sembra ormai passato, lasciandosi dietro distruzione, morti e sfollati, frane, smottamenti e danni ingenti anche qui a Fianarantsoa.
Il ciclone si è abbattuto sul Madagascar, con piogge torrenziali e venti forti con raffiche fino a 250 km/h che per 3 giorni hanno spazzato l’Isola sradicando alberi, distruggendo case, provocando inondazioni, scoperchiato tetti, interruzioni nelle strade principali, facendo saltare i cavi dell’elettricità. Le piogge incessanti hanno lasciato intere città e villaggi sott’acqua.
Il Madagascar viene regolarmente colpito da fenomeni di questo tipo (negli ultimi 10 anni, l’isola è stata toccata da 45 cicloni e tempeste tropicali) ma ogni anno si arriva impreparati a questi eventi così repentini e violenti davanti ai quali ci si sente impotenti.
Anche qui ad Ambalakilonga l’acqua è arrivata dappertutto, spinta dal vento è entrata dai posti più impensati, acqua dalle finestre, dal tetto, dal pavimento…
Sia i ragazzi della comunità sia noi volontari stiamo tutti bene, e se ci guardiamo attorno non abbiamo di che lamentarci. Molte persone hanno perso la loro casa, crollata sotto la pioggia, altre perdono giornate di lavoro nei campi o nei mercati. Altre ancora non possono lavorare a causa dell’acqua alta e molte famiglie, comprese molte dei nostri ragazzi, vivono praticamente in case inzuppate e allagate, a volte 6/7 persone, soprattutto bambini, in un unica stanza umidissima.
Noi abbiamo la possibilità di fare la spesa, di riempire le nostre dispense e di non uscire anche per giorni se serve. Per la gente invece non cambia nulla, che piova, o – come in questo caso, diluvi – devono sempre uscire, ogni giorno, a comprare quel poco riso e le poche verdure da consumare il giorno stesso, altrimenti non si mangia. Devono uscire a prendere un po’ di carbone per cucinare e quel poco petrolio che serve ad illuminare le lucerne per la sera, pregando e sperando che non voli via il tetto sulle loro teste, che non si allarghi ulteriormente quella crepa sul loro muro, che l’acqua non allaghi la casa da sotto il pavimento sterrato.
Qui da noi, ci sarà da rivedere e sistemare i tetti e gli infissi, qualche muro diroccato qua e la,ma in qualche modo faremo.
Ieri sera, verso mezzanotte, sono andato a riprendere uno dei nostri ragazzi alla fine del lavoro, e ci siamo trovati davanti una città desolata, allagata, sporca di fango e di immondizia, molta immondizia.
Oggi è rimasto solo il vento, e ogni tanto un raggio di sole buca le nubi. Guardo con sollievo le nostre volontarie, che, nonostante i tanti disagi, affrontano tutto con grande spirito di adattamento e con simpatia, tirano fili e stendono vestiti, asciugano acqua che cola dai muri e mettono secchi dove gocciola dal tetto. Penso a Matteo, arrivato ad Antanarivo sabato sera, che ancora non ha potuto raggiungerci perché la strada nazionale, l’unica che porta qui, è interrotta. Neanche il nostro Njaka è potuto d’altra parte rientrare in capitale per l’università e Lova, che è venuto a trovarci non può rientrare a Manakara dove lavora come cuoco, per lo stesso motivo, anche una delle nostre maestre non può tornare a Fianarantsoa da Manakara per un enorme cratere che ha bucato la strada.
Erano praticamente 3 anni che qui a Fianarantsoa non si vedeva un ciclone così. La terra era assetata, arsa da lunghe stagioni di siccità. La gente si divide, c’è chi benedice il cielo per l’arrivo del ciclone e della pioggia, c’è chi si dispera per aver perso tutto, la vita in fondo è sempre così, non mette mai d’accordo tutti, ma noi, non lasceremo annegare la speranza, e continueremo a fare la nostra piccola parte!
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