Ci sono le case e ci sono anche i loro abitanti.
Scritto da Sofia Ceciliato
A quindici giorni dal mio arrivo qui, tirare le fila di quello che rappresenta casa Juan Pablo II non è semplice. Ho provato a guardarla attraverso gli occhi di chi la vive quotidianamente, chiedo a V.
Lui vive qui da quattro mesi. I segni sul suo corpo gli ricordano tutto quello da cui si è voluto allontanare: droga, violenza e criminalità.
Mi sono seduta accanto a lui e nonostante le difficoltà poste dalla lingua le parole sono arrivate cariche di significato. Descrive la comunità come un posto tranquillo, immerso nel verde, nel quale è possibile tornare a respirare aria pura.
Per lui questo è il punto di svolta, il luogo che gli permette, passo dopo passo, di riscattarsi come persona agli occhi della famiglia e della società.
Qui ha trovato casa e amici.
Un senso di fratellanza nato da un passato che, seppur diverso, li ha portati alla condivisione di un’unica metà: sentirsi di nuovo vivi.
Questo è l’insegnamento più grande che sono riusciti a darmi in questi giorni.
Qui ho capito che è possibile lottare traendo forza dalle emozioni.
La potenza di casa Juan Pablo è questa: dare spazio al cuore, al gioco e al sorriso.
Mi sono messa in gioco, a volte sentendomi spaesata.
Ho cercato di svuotare la mente per riempirla di nuove forme: abitudini, pensieri e modi di fare.
Rimango a occhi aperti, sbalordita dall’importanza che hanno assunto le piccole cose.
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