Quante volte ci siamo ritrovati a parlare di cammino, quell’incedere di passi che compone il pensiero. Abbiamo camminato in molti, non conosco i numeri, ma credo che i numeri non ci interessino, almeno non ora, ora ci interessano i volti, le idee, le parole che hanno camminato su quei piedi e soprattutto perché lo hanno fatto.
Eravamo tutti nello stesso posto perché stavamo condividendo un’idea, l’idea che un mondo più giusto debba essere un mondo in cui la pace sia la norma e non l’eccezione.
Ma è questo il mondo che stiamo costruendo? Da quello che ho sentito in questi giorni, direi di no. Nonostante gli uomini e le donne di buona volontà, la pace rimane l’eccezione, la regola è il conflitto, la violenza fisica e verbale, l’ostinazione a non volersi capire, la degenerazione del dialogo che diviene totale assenza di ascolto e chiusura a chi non corrisponde alla nostra idea di normalità.
Camminavo, voci di novelli Baden Powell, di ragazzi e ragazze scalzi o vestiti da arcobaleni. Camminavo mani in tasca e testa da tutte le parti e pensavo, camminavo e pensavo, come fa chi cammina perché ha capito che nella strada può ritrovare un tempo nuovo, diverso, un altro ritmo, un’altra finestra sul paesaggio circostante. Camminavo e a destra, a sinistra campi di papaveri e colline e camminatori stanchi con bottiglie di vino, una chitarra, in cerchio a parlare o a riscoprire le parole.
Padre Zanotelli si nasconde tra la folla, qualcuno lo riconosce, io lo ascolto un po’ prima di realizzare che è proprio lui questo signore dallo sguardo dolce e trasognato che parla a bassa voce, saluta e chiede di non fermarsi alle parole, ma di agire e di sostenere le idee.
Ho camminato con i ragazzi di Cassino, abbiamo parlato di viaggi, di quello che sarà quest’estate per due dei marciatori della pace. Una ragazza partirà per l’Argentina, Giulia, e un ragazzo per il Madagascar, William. Chi si prepara per un viaggio ha sempre negli occhi una luce particolare, proprio come loro due: tante domande, aspettative, i soliti sogni che hanno bisogno di essere avvicinati, per essere toccati o anche solo sfiorati. Giulia e William hanno seguito un percorso di formazione con noi, insieme abbiamo tentato di riappropriarci del concetto stesso di frontiera e di sviscerarne i significati, di scoprire le nostre frontiere, quelle che ci aprono al concetto di pace, un concetto nuovo, la pace di ogni giorno, il significato che riusciamo a riconoscere nelle nostre esistenze e nei gesti che le compongono.
Arrivati ad un certo punto, non ricordo il luogo e nemmeno che ora fosse, la pioggia ci ha appesantito gli abiti e oscurato il cielo.
In quel momento ho pensato che avrei voluto camminare a lungo, sentivo le canzoni che aumentavano di volume, i ragazzi della cooperativa che con ancora più energia correvano da una parte all’altra per vendere le loro magliette, sentivo i passi che aumentavano velocità ed intensità, ero più leggera e non solo perché un volenteroso si era offerto per portarmi lo zaino, mi ero alleggerita del peso della paura. Paura di non potercela fare, paura della responsabilità, due giorni a parlare di pace ti fanno sorgere un’infinità di domande, ma camminare aiuta a ridimensionare, farlo insieme aiuta ad alleggerire, farlo con ESF aiuta a ritrovare il senso di un percorso che è solo all’inizio e che ha bisogno di un passo alla volta per avere meno paura.
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