Un racconto da parte della Fondazione Exodus

Scritto da Pasquale Ambrosino

I contesti si riempiono di contenuti, e tutto risponde alle visioni che abbiamo del mondo.

Sull’immigrazione si scrivono ogni giorno pagine e pagine. Cadono le nuvole grigie del razzismo, si aprono i dibattiti sulle invasioni barbariche, come se l’occidente gonfio a suo tempo non le avesse fatte e ancora oggi le fa, come se la mia casa è sacra e le case degli altri possono essere violate, insieme ai paesaggi, alla natura e alle culture, come se i codici che dividevano nei tempi antichi gli umani in uomini liberi e schiavi si siano perpetrati nell’oggi.

Sull’immigrazione si scrivono ogni giorno pagine e pagine. Sotto cieli tersi si cerca di migliorare l’accoglienza, si danno strumenti educativi a uomini e donne per affrontare i post viaggi della speranza, le post tragedie consumate nell’inferno della Libia e nel mare nostrum in balia delle onde e del destino.

Raccontare di un’ esperienza nata in un’altra terra dei poveri, dove la balia delle onde e i soccorsi istituzionali li hanno fatti sbarcare. Raccontare di un terra dove un gruppo di ex disoccupati, impegnati nel volontariato e nelle realtà di solidarietà,  si incontra con un metodo e con la carne di operatori Exodus che da più di vent’anni in questa terra lavorano, e decidono di aprire all’accoglienza, alla visione di un accoglienza che non sia contenimento o speculazione, ma educazione e attenzione per la persona. Raccontare di questo: delle esperienze Sprar di Africo, Brancaleone, Montebello Jonico, delle prime accoglienze di Saline Joniche e di Melito, dove 250 migranti sono attualmente ospitati, in cinque centri.

E nascono le esperienze trasversali di integrazione scolastica: un nostro progetto chiamato “Don Milani 2”: una scuola del fare dove l’apprendimento e la didattica sposano le velocità esistenziali delle persone, il percorsi interiori, le difficoltà e i disagi. Dove si fa scuola nei centri ma anche nelle scuole con una fitta rete di istituzioni scolastiche che ha scelto il modello inclusivo. E dove alla fine si prende un titolo di studio, ma attraverso un percorso formativo ed educativo atipico, bello, centrato sulla relazione.

E nascono le esperienze trasversali di prevenzione giovanili che coinvolge neri e bianchi, educatori, istruttori sportivi, associazioni di volontariato e sportive: una intuizione di Don Antonio Mazzi che invita ad investire nel lavoro di prevenzione, attraverso le arti magiche dello sport, del teatro, della musica e dell’arte. E così Nascono i team sportivi: le 17 squadre di calcio e i gruppi di arti marziale tra Montebello e Melito, il team del cricket ad Africo, il basket, gli allenamenti, le performance, gli incontri ad alta intensità partecipativa e con un agonismo morbido, da fratelli che non hanno bisogno di vincere o perdere ma di ritrovarsi nelle sfumature della vita, di esserci e di riconoscersi. I laboratori creativi, la pittura e la fotografia.

E ritroviamo anche il colore dell’arbitro, un corso di formazione per arbitri, completato nella sua prima edizione che vede alcuni migranti, impegnati fuori dai centri stessi ad arbitrare partite di calcio che altre associazione sportive organizzano nel territorio.

E poi il lavoro con gli stage formativi in aziende, alcuni dei quali si traducono in opportunità lavorative stabili, conquistati dalla professionalità, dall’attitudine e dalla serietà dei nostri migranti, dimostrata in contesti produttivi, in agricoltura, in esercizi commerciali, in attività marinare di pesca e altre ancora.

C’è anche ciò che non si riesce a fare, gli errori, le incomprensioni, la rabbia. Ma mi dite come è possibile farne a meno quando si opera, quando ci si mette in gioco?

Poi arriva il giorno della partenza, perché importante non è il pesce che si mangia oggi, ma l’arte di pescare che permetterà domani la vera autonomia e la vera integrazione, perché importante non è l’assistenza ma la consistenza del bagaglio con il quale stiamo partendo. Su una banchina di una stazione del povero sud si vede l’immagine dell’abbraccio di un bianco e di un nero, un biglietto ferroviario tra le pieghe del vestito indossato per la giornata, un papillon demodè. E si va a Milano, a Roma, a Venezia, in Germania, in Francia…a lavorare e non a delinquere, a vivere e non a perdersi.

Chi attraverso l’inferno lo fa sempre nel  nome di principi alti, che spesso non sappiamo e non vogliamo cogliere.

Fragile è questo percorso che stiamo facendo, ma dalle ceneri di Cristo nacque per fortuna anche una Chiesa che spezzò il pane e condivise il dolore e diede prospettiva e speranza, che scelse il perdono e non il giudizio.

 

 

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