Scritto da Elisa Frezza
Tra meno di due mesi sarò in partenza per un nuovo viaggio. Una meta inaspettata, nuovi compagni con cui condividere tre settimane di emozioni e scoperte, un’esperienza ancora diversa ad attendermi.
E’ il mio quinto viaggio con Educatori Senza Frontiere, eppure non mi abbandonano la paura di non essere all’altezza delle situazioni che mi si presenteranno, quel sottile timore di sentirmi un ospite indiscreto, la preoccupazione di riuscire ad avere e dare il meglio che posso da questa meravigliosa opportunità, che mi viene incontro come un dono nuovo.
Ma più forte delle ansie e del batticuore che mi coglie quando penso a questo viaggio è la smania di avventura, il desiderio di mettermi in gioco, la voglia di andare a toccare con mano realtà lontane, di mettermi a testa in giù per guardare il mondo da una prospettiva inedita e scoprire che sono tante le angolature da cui posso osservare la vita, tante le sfumature che posso cogliere se smetto di sentirmi al centro e inizio a camminare “verso”…
Noi educatori senza frontiere avvertiamo un certo malessere nello stare fermi e abbiamo fatto del movimento, inteso non solo come spostamento fisico, il nostro stile di vita.
Camminiamo verso terre straniere, camminiamo in direzione dell’altro, camminiamo accanto all’altro, camminiamo dentro a noi stessi, in un incessante moto di ricerca.
Abbiamo deciso di andare incontro alla diversità e alla povertà e di trasformarle in insegnamento. Facciamo tesoro di sguardi, di paesaggi, di sorrisi, di strette di mano e di strette al cuore con l’unica certezza che ci torneranno utili nella vita di ogni giorno. Crediamo fortemente che il viaggio non sia solo un piacere per l’anima, ma scuola di vita, che il cammino possa essere strumento educativo, la strada aula e il povero professore.
Abbiamo imparato che si parte per andare a dare e si realizza che è molto più quello che si riceve; che si vorrebbe andare a dire e risolvere e poi si scopre che è molto più necessario stare ad ascoltare e osservare; che esserci, molto spesso, ha più valore che fare.
Il bagaglio si libera pian piano di paure, limiti, pregiudizi per fare posto a ricchezze e talenti nuovi.
Il tempo si dilata, le giornate sono intense e presentano innumerevoli elementi da elaborare. La testa sembra scoppiare, il cuore trasuda emozioni difficili da gestire. Il gruppo diventa sostegno e rifugio, ma il ripiegamento su se stessi è inevitabile e necessario e allora ci si sente piccoli e vulnerabili, ma la fragilità ben presto fa largo all’entusiasmo della scoperta, alla gioia pura di alcuni attimi, al calore di certi incontri.
Quando arriva il momento di rientrare il cuore si vela di malinconia, la mente è stracolma di ricordi, gli occhi di immagini belle e di immagini tristi. E ora? Ora è necessario far convivere la quotidianità con la ricchezza che il viaggio ci ha lasciato dentro. E’ questa la vera sfida: trasformare il viaggio in modus vivendi, in traccia educativa, in preziosa guida per la vita di ogni giorno. Al ritorno, dunque, ci si accorge che mettersi in viaggio vuol dire non smettere mai di viaggiare.
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