Scritto da Elisa Biava

In un momento della vita in cui mi chiedo chi sono e dove sto andando scorrono veloci quelle fotografie dal finestrino in terra africana.

Perché lasciare alle spalle le nostre abitudini e svestirsi di quelle immagini e pensieri che ti si appiccicano addosso non è facile.

E un mese non basta.

Ma forse avevo solo bisogno di un’esperienza così forte e così lontana per rendermi conto di quanto le mie radici fossero aggrovigliate.

L’Africa mi ha segnato così profondamente da togliermi le parole ma restituirmi pennelli e colori.

L’Africa prende tutti i tuoi sensi e ti fa vibrare. Ti fa guardare alla vita.

Ti secca la gola con la sua terra rossa ma ti canta melodie che chiudi gli occhi e vorresti non finissero mai.

L’Africa è una fotografia troppo bianca o troppo nera, o forse solo troppo sfocata, perché comprenderla nelle sue mille contraddizioni è difficile.

L’Africa è un bambino che ci emoziona tutte quante, è giovani donne e suore che sono carezza e porto per le mie paure occidentali, è lo scheletro di un canestro per le partite del sabato, è parabole sui tetti.

L’Africa è una gratitudine che non conoscevo, è la mia vita che mi si ribalta dentro.

L’Africa è quel bambino troppo magro, è quel coraggio di cui abbiamo paura.

L’Africa è una tazzina al compleanno, è parole che non so pronunciare bene e sorrido.

E’ frutti che cadono dall’albero mentre scrivi, è volti in cui ti perdi, ti trovi e ti rispecchi.

L’Africa è quella stanza di cemento e nient’altro in cui non vorresti entrare perché quando torni tra le tue pareti piene, troppi sono i perché.

E allo stesso tempo è anche questa l’Africa, una dolce ferita nell’animo come quel segno sul viso che ti ricorda l’infanzia.

 

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