Scritto da Giorgia Dell’Uomo
Foto scattata durante un laboratorio in Brasile a cura di Giorgia Dell’Uomo e delle volontarie di Educatori senza Frontiere
Ad un certo punto del loro cammino, il clown e l’educatore si ritrovarono seduti uno accanto all’altro.
Fu così che l’educatore chiese al clown << Dimmi, qual è il tuo segreto? >>, il clown lo guardò titubante, ma con semplicità rispose << Segreto? >> e scoppiò in una risata fragorosa, << vedi questo è il mio segreto. Ridere. Ridere davanti a ciò che la vita mi presenta. Sai caro educatore, il saper ridere di sé stessi o di ciò che la vita ti riserva, è un dono prezioso. In fondo anche Chaplin diceva che “ogni giorno che non ridi è un giorno perso!”.
L’educatore rimase sovrappensiero. Non pago della risposta, continuò << Si ho capito che ridere fa bene, ma quello che voglio capire è, come fai tu, con questa faccia…>> il clown sussultò ed esclamò ridacchiando << Ehi tu!! Cosa vorresti dire della mia faccia?>>, l’educatore continuò << Dai fai il serio per una volta, stavo dicendo, mi spieghi come fai, così truccato, con un naso rosso, ad avvicinarti alle persone? Come fanno a crederti?>>. Il clown diventò un attimo serio, si schiarì la voce e iniziò << Vedi questo pezzetto di plastica? Tu dirai, è un naso ovvio, invece no. Non è solo un naso. In questa piccola pallina cava c’è una chiave. L’unica chiave in grado di aprire quelle porte più nascoste.
Io non faccio altro che arrivare in punta di piedi, mi muovo come un ospite, pieno di premure, con delicata attenzione, per non disturbare e busso alla porta. Ci sono delle volte in cui la porta si apre facilmente, altre volte, c’è da aspettare un po’.>> L’educatore era in ascolto quasi in apnea, riuscì solo a dire << E in quell’attesa che fai?>>, il clown aspettò un attimo prima di rispondere e poi aggiunse << Niente. Aspetto!>>. Rimasero un po’ in silenzio ad osservare il panorama. Nel cielo volava un aquilone tutto colorato. << Mi piacciono tantissimo gli aquiloni, loro si che sanno aspettare, come aspettano il vento giusto loro, nessuno ci riesce >> disse d’un tratto il clown.
L’educatore alzò gli occhi al cielo senza dire nulla, il clown continuò << Visto che siamo in tema di segreti, il tuo qual è? >>, l’educatore perplesso guardò il clown e disse << Il mio segreto? Io non ho segreti. Ho studiato per diventare educatore, ho letto libri su libri, ho sostenuto degli esami, qualcuno più in alto di me ha deciso che fosse arrivato il momento per quel pezzo di carta tanto desiderato da tutti e niente più. Come vedi non ho segreti.>>, << E tu ne sei proprio sicuro? >> domandò il clown, << tu mi vorresti dire, che fare l’educatore per te è solo avere un pezzo di carta da presentare ai colloqui e sbrigare delle mansioni come un qualsiasi altro lavoro?
Tu vorresti dirmi che credi davvero in quello che hai appena detto? >>, l’educatore non rispose e continuò a guardare l’aquilone in volo. << Tu pensi che io e te siamo così diversi? Vediamo se riesco a rendere l’idea, tu percepisci il mio naso rosso come una maschera, la maschera più piccola del mondo come in molti la definiscono, ma sotto questa maschera, cosa vedi? Beh, te lo dico io, una persona con la tua stessa pelle, due occhi, due orecchie, un naso, due mani, due piedi, una testa. C’è però una differenza, che tutte queste parti sono assemblate in modo ridicolo, si io mi sento ridicolo, ma questo essere mi piace e non lo voglio nascondere, anzi, lo mostro a tutti. Lecoq, che prima ancora di essere un grande artista, era un fisioterapista, l’avresti mai detto? Beh, lui dice che più ci lasciamo sorprendere dalle nostre debolezze, più il nostro clown appare con evidenza. Quella piccola pallina cava che si mette sul viso deve permettere a chi lo indossa di raggiungere lo stato di neutralità che precede l’azione, uno stato di ricettività riguardante ciò che ci circonda, senza conflitti interiori. Si tratta di una maschera di riferimento, una maschera di base. Sotto ogni maschera ne esiste una neutra che ne regge l’insieme.>> l’educatore ad un certo punto si illuminò, sobbalzò in piedi ed esclamò << Forse ho capito! È un po’ come entrare nella gabbia dei leoni!>>, il clown sorrise e restò in silenzio ad ascoltare l’educatore che parlava di maschere e di leoni << Ognuno di noi nella vita indossa le sue “maschere”, alcune ce le costruiamo noi, altre ce le mettono gli altri.
L’importante è capire sotto questa maschera chi c’è. Sapere bene quali sono le emozioni ogni qualvolta che entro in contatto con gli altri. Perché è in questo contatto che io riconosco l’altro. Ed è così, che la maschera altro non è che la rivelazione di noi stessi, se riusciamo ad uscir fuori aiutiamo noi stessi e solo così possiamo aiutare gli altri. Un giorno qualcuno mi ha detto che “nel silenzio c’è sempre una corda che vibra, noi possiamo scegliere se ascoltarla o meno”. Io ho deciso di ascoltarla.>> e preso dall’entusiasmo l’educatore continuò << Sai mio caro clown, tu in fondo hai ragione, noi non siamo così distanti e diversi.
Utilizziamo lo stesso pretesto: l’amore. Noi siamo innamorati di ciò che facciamo, noi crediamo nel nostro essere e nelle persone che incontriamo. Non abbiamo fretta di piacere agli altri. Noi sappiamo aspettare. Ci mettiamo lì in ascolto.
All’inizio siamo come di fronte ad uno specchio, osserviamo l’altro, lo seguiamo, in qualche modo lo riflettiamo. Ad un certo punto succede qualcosa, succede che ci riconosciamo, lo specchio prende vita, non c’è più uno che si specchia e lo specchio che lo segue, ma c’è armonia ed equilibrio tra i due. C’è una proposta reciproca. C’è un gioco. Quello che sente l’altro è quello che sento io, ma con la differenza che quando questo sentire prende una direzione che non ci piace, io so aggiustare il tiro e si può iniziare un nuovo gioco, un nuovo viaggio. È come quando al campo rom facevo il gioco dello specchio con i bimbi, io mi rispecchiavo nei loro occhi immensi e riuscivo a sentirli vicini. Anche se eravamo distanti per cultura, abitudini, stili di vita, riuscivamo a creare un contatto. Perché in fondo solo se si è distanti si può sentire la vicinanza, no? Questo me lo hai insegnato tu!>>, il clown ammirava il suo amico educatore e annuiva. L’ educatore aggiunse << Clown! Oggi ho capito che io nella vita voglio essere un educatore, come tu hai capito che non potrai essere nient’altro che un clown, però, io e te insieme possiamo consumare ancora tante scarpe!>>
Entrambi avevano percorso molta strada, avevano il viso teso e i piedi doloranti. Si godevano il sollievo del riposo e del silenzio. Si dice che quando due persone riescono a godere del silenzio senza imbarazzo, è allora che hanno raggiunto la completezza.
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