Scritto da Francesca Pedrola
Dall’Italia ho portato con me insieme alla curiosità, le aspettative e i timori, delle garze gessate.
Sono quelle che si usano per fare i gessi quando ci si rompe o frattura qualche parte del corpo. Le ho messe in valigia perchè le maschere del viso che si possono fare sono belle, riproducono a calco il volto della persona che si presta; farle e farsele fare oltre ad essere un’attività creativa, in poche parole, comporta un’esperienza di contatto e incontro con l’altro, ma anche con se stessi e la propria identità. Non avevo idea se e quando e a chi proporla quando a settembre sono partita per la prima volta per il Madagascar con Esf. L’occasione si è presentata al carcere di Fianarantsoa, nella sezione minori.
Mi sono unita a Celeste che ad Ambalakilonga già ha fatto un anno di servizio civile, nell’attività esterna che svolge da maggio con un cooperante francese nella sezione minori; un’attività di tipo espressivo musicale. Succede che un giorno quando arriviamo con il nostro programma del giorno, l’educatore ci dice che ci sarà a fine novembre uno spettacolo di raccolta fondi in cui ogni sezione del carcere si esibirà con dei pezzi, di danza e canto che prepareranno loro. Ci viene fatto l’invito di aiutare i ragazzi in vista di questo. I balli e i canti che hanno scelto sono motivi classici e in voga qui in Madagascar: barinjaka, gweta
A questi abbiamo poi proposto un’aggiunta: nel pezzo di apertura, mentre ballano, tutti indossano la maschera del loro viso che faranno con le garze gessate; del volto saranno visibili solo gli occhi,la maschera riprodurrà i lineamenti fedelmente, ma da lontano questi si dissolvono e non si distingue più la faccia di nessuno. Alla fine della musica la toglieranno e solo allora si vedrà chi sono, chi c’è dietro la maschera; da quel punto seguiranno tutti gli altri pezzi a volto scoperto .
Riflettiamo insieme su come i ragazzi pensano li vedano e considerino le persone fuori dal carcere, gli sconosciuti, ma anche la propria famiglia. “ Che non siamo buoni a nulla, che dobbiamo restarci e anche morirci in carcere, che se usciamo può essere pericoloso per noi e/o per la nostra famiglia”. Risposte di dura e difficile realtà che lasciano silenzi e cuori pesanti… La riflessione si sposta sul messaggio che vogliamo dare agli spettatori il giorno dell’esibizione: invece qualcosa di buono lo sanno fare e loro valgono.
La maschera ha assunto il ruolo di simbolo dell’immagine del carcerato che la gente ha: tutti uguali e buoni a nulla. Quando toglieranno la maschera si vedrà la persona che c’ è dietro, che ha un volto, una storia e delle capacità. É un messaggio intenso e profondo, e il giorno stabilito della realizzazione delle maschere arriviamo cariche in carcere; l’inizio va bene, ma poi ci accorgiamo che le garze comprate nella farmacia della città, non sono della stessa qualità di quelle portate dall’Italia, non si uniscono bene sul viso, le maschere si rompono.
Incredula e mortificata non so che pesci prendere, a peggiorare il mio stato è l’impossibilità di esprimere direttamente e verbalmente il mio rammarico (non riuscire a parlare quasi nulla né di francese né di malgascio mi fa sentire frustata e senza voce, mi sforzo da quando sono arrivata di carpire e imparare il più possibile, ma come è normale sia, è un limite, che spesso io vedo come mio e fatico ad accettare ). Ne ho fatte tante di maschere e fino adesso mai nessuna si era rotta; il danno della maschera rotta, è il danno di un volto, un’identità che non sta insieme, bisogna assolutamente trovare un rimedio! Quel giorno, una volta fuori, abbiamo pensato a tutte le possibili soluzioni, agli errori fatti, alle migliorie necessarie..ero preoccupata, e spaventata dalla possibilità di non poter riparare .
Tanta è stata l’agitazione in quel frangente, quanto poi, il giorno successivo, ci ha ricambiato la gioia nel vedere le soluzioni e gli stratagemmi che funzionavano, e delle maschere belle e compatte che prendevano forma. I ragazzi sono contenti, noi di più, al settimo cielo. Ancora di più mi riempie il cuore vedere come molti si prendono cura della propria maschera, nel ritoccarla, rifinirla..ci tengono…. Allo spettacolo manca ancora del tempo e i pezzi devono essere elaborati; gli imprevisti nella vita, e sopratutto qui, ho imparato sono all’ordine del giorno, quindi si vedrà, però il messaggio per cui loro per noi sono importanti e valgono penso sia passato. è una piccola goccia di acqua fresca che spero disseti e rimanga. A me rimane che provare, anche rischiare, metterci passione , paga!
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