Scritto da Gaia Maggini
Caro Esf,
devo scrivere, lo devo a me, a te , all’esperienza che sto facendo, su un foglio che questa volta è davvero troppo bianco. Appoggio saldamente la schiena al muro, faccio un respiro profondo e prendo in mano la penna. Dal punto in cui sono seduta ho una bella visuale di tutto quello che è il centro di Huambo, Angola, Africa.
A dire la verità quando mi hanno comunicato la meta, il nome mi diceva ben poco. L’ho subito cercata sulle mappe e ho pensato: “Mi hanno proprio spedito in un angolo di mondo”.
Ecco caro Esf, ci tengo a dirti una cosa: il posto in cui mi trovo non è affatto un angolo di mondo. Se i tuoi occhi potessero guardare quello che sto guardando io in questo momento, sicuramente converresti con me. Un angolo è un posto incavato, stretto e buio. Qui invece la luce la fa da padrone, dalla mattina con la sveglia all’alba, fino alla sera in cui prima di andare a dormire puoi vedere tantissime stelle. Ma la vera luce sono le persone che abitano questa terra. Ecco, l’Angola è terra: una terra combattuta, posseduta, amata; una terra lavorata, calpestata, vissuta e che non smette di farlo.
Il sole tramonta, la polvere nell’aria è tanta, l’asfalto su cui sono poggiata è caldo. J. appoggia la testa sulle mie gambe e descrivere questo momento è davvero impossibile. L’Africa ti toglie le parole, ti fa prendere fiato. Vorrei che tu fossi qui, caro Esf, per condividere questo momento. Poggi un piede su questa terra e inizi a respirare veramente. Realizzi che l’aria di cui hai bisogno è composto da altri elementi, e questi sono qui. Basta un attimo e ne sei già dipendente. Dipendente da cose che, a scriverle su questo foglio, diventano davvero scontate e banali. Se l’arrivo a Luanda mi ha tolto le parole, Huambo me le ha restituite sotto forma di emozioni dritte dritte all’anima. Arrivare qui è destabilizzante: rimboccarsi le maniche e mettersi a lavorare è l’unico modo che conosco per riuscire a prendere in mano la situazione. Qui c’è tanto da fare e sembra che il tempo non basti mai. Da un momento all’altro, anche se dopo ore e ore di viaggio, ci si trova in una realtà completamente diversa, a cui è impossibile abituarsi. Camminando per le strade, guardarsi intorno viene spontaneo come porsi delle domande. Si percepisce un altro tipo di umanità a cui non si è abituati, e forse neanche pronti, a recepire. Tutte le immagini da cui vieni colpito si riconducono solo ed esclusivamente ad un fastidiosissimo punto interrogativo: perché? Trovare una risposta: impossibile. Io almeno non ci sono riuscita. Forse è proprio in questo il bello: imparare ad accettare che non è possibile sempre dare una spiegazione a tutto, che l’emozione non ha un libretto di istruzioni.
E così, se prima di partire temevo l’Africa perché pensavo di non essere pronta, ora posso affermare a piena voce che non è più così. Perché in realtà, a certe cose, non si è mai pronti. Il trucco è lasciarsi andare, buttarsi. E’ bastata una settimana per sentirmi a casa anche dall’altra parte del mondo. Infondo respirare è automatico. Se essere qui è prendere una boccata d’aria, allora è stata ossigeno puro, e mi ha salvata.
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