Scritto da Cristina Mazza
Stamattina mi sono svegliata e ho cominciato a fare gli auguri a tutte le donne. A tutte le belle donne che circondano il mio mondo, che ne fanno parte, che hanno contribuito a costruirlo.
Poi sono entrata nel loop della banalità dei pensieri, di tutte le volte che in questi 52 anni mi hanno fatto gli auguri per la festa della donna, relegata ad un rametto di mimosa e a quelle cene tra sole donne che già vent’anni fa avevano il sapore del pensionamento.
Poi, in macchina ricevo un wazzup di un amico che mi ha fatto gli auguri con un a foto che riporta ….“ricordati di essere felice”.
E come spesso mi accadde quando qualcosa mi colpisce, tutto riprende forma e senso, il cazzeggio si allontana e faccio pensieri pensati.
E mi chiedo, pur sapendolo, cosa successe là, in quella fabbrica?
E mi chiedo, pur sapendolo , cosa succede oggi nella fabbrica del mondo?
Allora ogni giorno dovrebbe essere una festa per riportare in vita chi nato nel diritto, ha trovato il dolore, la sofferenza, le botte, gli sgarbi, la persecuzione?
Cosa c’è da festeggiare?
Allora cerco di trovare il senso della festa…. E penso…
A me, al mio “formichinare” da mane a sera, da mamma, sposa, professionista, alle mie donne che ho generato e che genero ogni giorno.
Alle donne speciali che hanno attraversato la mia esistenza, che mi hanno originato, “coltivato”.
A quelle che hanno lasciato impronta nel mio cuore.
A tutte quelle donne che per lavoro ho incontrato, danneggiate nell’animo da una vita che non si sono scelte e a quelle mamme che hanno dato vita, ma quella vita se la sono vista portare via da non si sa bene chi.
Alle mie donne dall’altra parte dell’oceano devastate dalla forza dell’uomo, madri di figli, ancora loro figlie, senza un abbecedario sotto braccio, lavoratrici a schiena rotta con pranzi e cene da presentare, che portano bambini e bambini sulle loro spalle, davanti, dietro di fianco… che non sanno come tirare a campare, che a 20 anni ne dimostrano 40, che camminano per le strada rossa e polverosa dell’Africa lontana, portando taniche d’acqua per mettere insieme un pasto serale, unico sostentamento della giornata e per far bere i piccoli, sorsi di acqua putrida, ma necessaria, che coltivano pezzettini di terra e con i loro prodotti vanno al mercato, e stazionano per una giornata mettendo e rimettendo in ordine i frutti del loro lavoro, che si alzano presto la mattina e non hanno tempo per i piccoli sulla loro schiena, che vanno a letto la sera e non hanno tempo per i loro piccoli la sera.
Penso poi alle scarpe rosse, alle migliaia di scarpe rosse…
E penso anche che essere donna è un grande dono, voluto, necessario, indispensabile, non a completamento di qualcuno, ma capolavoro originale e come tale non violato, non calpestato, non abbattutto, non dimenticato. E come tutti i capolavori, contemplato.
E da ultimo penso che la strada che ci porta alla bontà è la felicità. E quindi…
Donna o uomo di questo mondo…. Ricordati di essere felice.
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