Scritto da Giulio Brotto

I tempi morti: tempo perso o tempo guadagnato?

Quanti tempi morti ci sono nelle nostre giornate? Ma soprattutto cosa si intende per tempo morto?

Spulciando tra i dizionari in rete si possono trovare definizioni come “periodi di inattività che intervengono a rallentare l’esecuzione di un lavoro” o “ tempi improduttivi”.

Quindi prendersi il tempo per dialogare con se stessi o per conoscere la segreta prospettiva del silenzio (per dirla alla Nietzsche) può essere considerato tale?.

Fermarsi a riflettere e interrogarsi per dare significato alle nostre azioni, prenderse la responsabilità e rinunciare all’agire passivo, può rientrare nella definizione?

In una società caotica, frenetica e competitiva, che considera la solitudine una forma di devianza patologica, non vi è spazio per il viaggio interiore; non è materialmente produttivo, non è tangibilmente valutabile, bisogna agire come automi e bisogna anche sentire il bisogno di farlo.

Il tempo di riflettere viene perciò cancellato, assieme alla consapevolezza e alla conoscenza critica e autenticamente propria.

L’introspezione va invece considerata come il primo antidoto alla società massificata; la prudenza ci permette di dare il giusto valore all’esperienza, di ponderare le decisioni e le scelte, di agire in maniera veramente umana.

“E non c’è tempo per pensare
c’è tempo solo per scandire
gli stessi slogans tutti insieme
slogans al posto delle idee?”

                       Edoardo Bennato – Non c’è tempo per pensare

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