Scritto da Silvia Grugnaletti
Quanti piccoli miracoli avvengono tutti i giorni qui, a Nyagatare. Piccoli miracoli che accadono sotto i nostri occhi e nelle nostre mani, lasciandoci a bocca aperta.
E’ dura accettare il fatto che manchino pochi giorni al ritorno in Italia. Sarà dura saper partire, saper tornare, saper lasciare questo posto che ha incantato, diversamente, ognuna di noi.
Il pensiero del ritorno a casa, alla vita di sempre, cerco di metterlo da parte, provo a cancellarlo dalla mia mente ogni volta che assisto ai piccoli miracoli di Nyagatare. Cerco di aggrapparmi alle immagini e alle emozioni che vivo ogni giorno. Provo a custodirle intatte nella mia mente come un tesoro prezioso, rivivendole in ogni istante per far sì che non me ne possa dimenticare. Purtroppo la mia mente non riuscirà a contenere tutte le immagini e le emozioni vissute con i ragazzi di Casa Exodus, ma cerco di tenerle strette strette, vicino al cuore.
Mi tengo gli abbracci senza fiato, i sorrisi inaspettati e gli sguardi intensi.
Mi tengo le strette di mano degli sconosciuti e quelle di chi mi sembra di conoscere da sempre.
Mi tengo le frasi non comprese e quelle che hanno significato molto.
Mi tengo le mani strette, intrecciate e sudate che non vogliono lasciarsi.
Mi tengo gli occhi chiusi e le mani sul petto durante una preghiera.
Mi tengo i loro silenzi, quelli che fanno rumore.
Mi tengo gli occhi lucidi durante una chiacchierata con le mie compagne di viaggio.
Mi tengo le risate senza motivo e le canzoni urlate a squarciagola sul letto.
Mi tengo gli sguardi d’intesa fatti da lontano.
Mi tengo gli scherzi e le prese in giro, quelli fatti perché, in realtà, ci si vuole bene.
Mi tengo i gesti d’affetto nascosti, mascherati sotto una forte stretta di mano che poi non ti lascia più.
Mi tengo le canzoni improvvisate, inventate e i balli scatenati in refettorio dopo pranzo.
Mi tengo i momenti di divertimento e gioco con bambini ed educatori, quei momenti di serenità e gioia in cui non c’è alcuna differenza di lingua, età o colore della pelle.
Mi tengo il cielo stellato di un Rwanda che, di sera, mi fa commuovere pensando alla giornata appena trascorsa.
Mi tengo le notti passate sveglia, aspettando che la pioggia cessasse perché il troppo rumore mi impediva di dormire.
Mi tengo il mio nome chiamato, urlato, cantato, sbagliato.
Mi tengo due occhi grandi e profondi come il mare, che quando ti guardano sembrano scavarti dentro, spogliandoti di ogni certezza.
Mi tengo delle mani piccole, ma già consumate dalla strada e dalla vita, che cercano il tuo viso, i tuoi capelli, le tue mani, la tua anima.
Mi tengo le loro risate fatte con il cuore, quel cuore a cui cerchi di arrivare e che vedi esplodere quando sono felici.
Mi tengo il loro battito, perché la sensazione più bella del mondo è percepire quei cuori e quei respiri sotto la mia mano, poggiata sui loro petti.
Mi tengo tutto questo, lo trattengo, lo sento in me ed è tutta vita che mi entra dentro.
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