Scritto da Rosalinda Catalfo
Piove: è tempo di tornare, le nuvole umide coprono il sole dei caraibi che ci ha bruciato le spalle, dopo una settimana itinerante il corpo chiede riposo, mentre la testa continua a correre veloce sull’asfalto della Panamericana, tra le colline le piante di caffè ora lucide, ci dicono che la siccità è finita. L’acqua lava e pulisce, scivola via anche la polvere delle strade sterrate piene di sassi, gli stessi su cui siamo caduti, sentieri onduregni che non capisci, tra la voglia di scoprire il retro della finca e la sensazione d’impotenza davanti ad immagini di dura normalità, proprio come quegli stessi sassi.
Impariamo a stare in equilibrio in carovana, mentre parliamo una lingua tutta nostra, fatta di parole, figure, rumori e odori vissuti in viaggio, dormi un tratto, guardi fuori dal finestrino, scambi di storie sofferte – non avevo mai fatto niente per nessuno – riaffiora alla mente l’odore del trucco sul viso, le macchie di rosso sul naso, mani sudate piccole e grandi che saltano in cerchio, e come ci guardavano quegli occhietti – ma da dove saltano fuori questi personaggi, e i loro nomi!? È comparso un palco all’improvviso, si proprio lì dove passiamo le nostre ore tutti i giorni, anche le tende colorate guarda che salti, i cerchi, una magia! – Ridono, chissà se riusciamo ad allontanarli da lì per qualche istante, mentre nascondiamo il timore che domani quel luogo sembrerà ancora più grigio, li salutiamo dal finestrino, già ci chiedono quando torneremo, quì si dice adios, sembra facile da dire, anche se gli occhi a volte ti tradiscono.
Qualcuno lungo la strada ritrova casa, gli auguriamo buen camino e noi?
L’ultima curva, tiro su la testa, il cancello di casa Juan Pablo, il bus si svuota, entriamo, c’è prepariamo il caffè, continua a piovere e ci sentiamo … a casa.
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