Scritto da Elisa Penna
Scrivere dopo la fine di un viaggio è sempre difficile, è difficile trovare le parole per raccontare l’incontrato e per raccontarsi davanti allo stupore, ai propri limiti, alla bellezza, al comprendere senza parole e al non capire il perché di certe cose.
Allora il senso del mio viaggio lo ritrovo nelle mie scarpe da tennis ancora rosse, nella mia maglietta ancora sporca di tempera gialla, nella terra d’ Africa portata via con me e in tante immagini vissute, raccontate, immaginate.
E allora mi rivedo ancora lì, vedo i volti dei ragazzi, dei bambini, sento strette di mani sudate, parole non comprese e cose comprese in modo chiaro e potente, pur rimanendo mute.
E ora che sono ritornata da tre giorni rivedo tutto questo e mi sembra che il senso del mio viaggio sia in immagini. Immagini di dolcezza, di lacrime di compagne di viaggio al momento della partenza perchè quando la parola non può dire le emozioni provate, il cuore sa sempre come trovare l’espressione giusta.
E poi ci sono le mie compagne di viaggio, ecco, me le immagino lì, quattro in più, sotto al gazebo con i ragazzi, belle come il sole, un po’ diverse da quando le ho salutate ma sempre colorate e sorridenti.
E poi rivedo frammenti più piccoli, dettagli di innaffiatoi pesanti, di piedi sporchi, di mani che ti indicano dove andare, cosa guardare, di bambini con il moccio al naso che ti abbracciano, di aeroplani di carta colorata e di bolle di sapone leggere.
E, infine, ci sono immagini calde, che riempiono il cuore: un maestro curioso che chiede come si diventa educatori, un bambino che ti saluta con il tuo nome, Ischimwe che al momento della partenza ti abbraccia piangendo, l’abbraccio delle tue compagne di viaggio.
E poi cosa rimane?
Rimango io, sdraiata sul mio letto a scrivere con pezzi di me lasciati e con pezzi di altro attaccati addosso, confusa come sempre ma più leggera e intima.
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