Scritto da Annalisa Bergantini

I poteri hanno visto nelle isole dei luoghi di reclusione, hanno piantato prigioni su ogni scoglio: il mare nostro brulica di sbarre. Gli uccelli invece vedono nell’isola un punto di appoggio, dove fermare e riposare il volo, prima di proseguire oltre.

Tra l’immagine di un’isola come recinto chiuso, quella dei poteri, e l’immagine degli uccelli, di un’isola come spalla su cui poggiare il volo, hanno ragione gli uccelli. […]

Da qualunque distanza, arriveremo. A milioni di passi. Noi siamo i piedi, e vi reggiamo il peso.

Spaliamo neve, pettiniamo prati, battiamo tappeti, raccogliamo il pomodoro e l’insulto. Noi siamo i piedi e conosciamo il suolo passo a passo. Noi siamo il rosso e il nero della terra, un oltremare di sandali sfondati, il polline e la polvere nel vento di stasera.

Erri De Luca – Tratto da “Che tempo che fa” del 20 maggio 2009

Anche se i nostri sandali erano scarponi, cari Esf, non posso che regalarvi questi versi, che mi sono tornati alla mente mentre eravamo in cammino.

Questo cammino, che oggi cerco di trattenere qui con me. Oggi che è lunedì, e la settimana che inizia prova a distrarmi da lì. Con i suoi schermi di pubblicità dentro al metrò, il telefono che squilla, le mail da controllare, le conversazioni da tenere, la spesa da fare, le strade di asfalto da attraversare.

Ho amato e sofferto questo cammino.

L’ho amato nel suo deserto, in quel passo uno e molteplice. In quel momento di perfezione, dove nessuno aveva più un nome, né un sesso, un mestiere o un anno di anzianità – né vecchio né nuovo – ma ognuno era solo un colore. Quello dei nostri mantelli che ci hanno avvolto sotto la pioggia.

Cammino sofferto nel toccare, con mani e occhi, i nodi che si sono formati in mesi di apnea, “cercando un ritmo comune di un passo ora troppo veloce, ora distante, talvolta frenato, altre frenante”.

Cammino che è camminarsi dentro. E io non l’avevo ancora capito, fino al cammino, che cosa vuol dire camminarsi dentro. Cammino che mi ha ridato forma, parola, tatto e olfatto tra gli alberi del bosco de La Mammoletta.

Cammino ancora oggi dentro le parole di Marzia, le rileggo e ripenso a quello stupore: raccogliere una storia e poi soffiarla al vento come polline a primavera, per farne nascere un’altra.

Da quel giorno, io costruisco modellini di nave. Qualcuno lo metto in bottiglia, qualche altro libero di andare. Sono tutti su una mensola. Li guardo e mi chiedo se un giorno, magari domani, il mare diventerà tanto piccolo o loro tanto grandi da farmi partire”.

Buon ritorno a casa, cari Esf.

Eccomi è voce dei momenti di verità, quando si è chiamati a rispondere di sé. È il passo avanti, lo scatto che fa uscire dai ranghi e porta a uno sbaraglio. È la più bella parola che si possa pronunciare in quei momenti, un dichiararsi pronti, anche se non lo si è affatto. Prima di usarla bisognerebbe allenarsi a pensarla più spesso. Buona fortuna a chi dovrà pronunciare oggi il suo difficile “eccomi”.

Erri De Luca – Alzaia

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