Scritto da Elena De Luca
Parti, e perdi del tutto il senso del tempo. Diventa quasi rarefatto, non si misura più in giorni, non lo si divide più in ore. Tutto inizia a scorrere in un tempo imprecisato.
A Huambo il tempo è pieno, è fatto di emozioni, sorrisi, giochi, lettere e numeri.
È un tempo dove l’acqua è una benedizione e la preghiera indispensabile quanto l’aria.
È un tempo dove l’attesa per un gelato diventa leggera perché volgi lo sguardo e hai il tempo per ammirare il tramonto.
In casa a Huambo non c’erano calendari ma un orologio appeso al muro. Segnava solo le ore giuste, quelle dei giochi, dei laboratori e delle preghiere.
A Huambo i bambini non chiedono mai l’ora, sanno sempre che ore sono. Iniziano a pregare lungo la strada senza domandare l’ora, sanno che quella è il momento esatto per pregare.
Le donne a Huambo non chiedono mai che ore sono. Cucinano, lavano, stendono le gialle divise dei bambini, ma non domandano mai l’ora.
Ma all’improvviso arriva la scrittura, una data, una scadenza. La scrittura inizia a tradirmi, mi fa vivere la mia sfida contro il tempo. Arrivano le lettere finali, quelle prima del ritorno dal viaggio.
Leggi le lettere dopo aver chiuso lo zaino ed è già ritorno. Inizi a contare le ore di volo, il fuso orario e i chilometri che ti separano da casa.
Sei a casa, l’acqua è indispensabile e la preghiera una benedizione. Tutti si chiedono che ore sono, tutti hanno delle scadenze. Anche il mio articolo ha delle scadenze. Tutti aspettano il tempo, misurano la loro vita dai giorni, dalle ore e non per quello che fanno. Allora chiudo gli occhi e ho nostalgia del tempo senza lancette, del tempo dei disegni, delle scritte sui muri, dei panni stesi ancora insaponati, delle corse contro il vento e la polvere, del tempo degli abbracci e dei letti disfatti, del tempo dei profumi di cucina e di spazzatura bruciata.
Non c’è un ritorno. Io continuo a viaggiare, l’importante è non chiedermi mai che giorno sia…
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