Scritto da Elisa Frezza
Se penso al momento che amo di più tra quelli della routine quotidiana con i miei alunni della Scuola dell’Infanzia, mi viene subito in mente il circle-time: le seggioline poste in circolo e la possibilità di guardare il visetto di tutti i bambini. E’ un cerchio magico, dove tutti ci sono, dove ognuno ha un volto e un nome, dove si può parlare, cantare, giocare e ascoltare storie.Se penso al mio percorso formativo con ESF, la prima immagine che mi viene in mente è quella di noi educatori senza frontiere seduti in cerchio, occhi negli occhi, con le nostre aspettative, i nostri sogni, la voglia di viaggiare in tasca, il desiderio e la fatica di raccontarsi.Se penso a una delle cene che ricordo con maggiore piacere, mi viene in mente quella in un agriturismo in cui hanno riservato al mio gruppo un tavolo rotondo. E’ stato bello consumare una pizza con tutti i miei amici davanti agli occhi, poter parlare, raccontare e scherzare senza escludere nessuno.Se penso ai miei viaggi in Madagascar, mi viene in mente l’intensità della preghiera delle 19.00 ad Ambalakilonga, le panche disposte in cerchio nella cappellina e il Padre Nostro cantato in malgascio, tutti insieme. Non solo un momento di preghiera, ma anche un’occasione e un pretesto per guardarsi in faccia e scambiarsi comunicazioni.Sedersi in cerchio o intorno a un tavolo vuol dire abbandonare la frenesia che caratterizza le nostre giornate per fermarsi intenzionalmente e dedicarsi a incontrare gli altri, con la giusta calma. E’ ben diverso dal sentirsi al telefono, dal parlarsi distrattamente mentre si è occupati a fare altro, dallo scriversi una lettera. Gli sguardi si incontrano in modo autentico, i volti non possono mentire, il tono della voce si riveste dell’intensità dello stare insieme. Educatori Senza Frontiere si regge sulla distanza, sulla capacità di lavorare insieme anche se dislocati in varie zone del mondo, sulla forza che permette di affrontare la solitudine. Sedersi intorno a un tavolo, anche quando qualche posto per forza di cose rimane vuoto, vuol dire ricercare l’unione, sentirsi parte, formare una base e divenire terreno fertile perché nascano riflessioni profonde. Vuol dire prendersi cura di chi è seduto accanto, aprirsi quel tanto che basta per dirsi grazie, per sentirsi liberi di piangere un po’, per dirsi, nel modo più sincero, quanto è bello “fare insieme” e quanto è importante, al di là dei grandi concetti pedagogici affrontati, sistemare le camere per gli esf in cascina, pulire insieme il bagno della sede di San Martino, smontare le bancarelle del Mercatino della Solidarietà a notte fonda…
Sedersi intorno al tavolo di Educatori Senza Frontiere vuol dire sentire che è passato il momento del fascino di un’avventura appena iniziata ed è giunto quello dell’andare alle radici, che, ci ricorda Don Antonio, sono la parte non visibile eppure indispensabile alla crescita. Nessuno ringrazia la radice, nessuno comprende appieno il suo sforzo, ma il suo è il lavoro più intenso. Dalla radice scaturisce il cambiamento, dagli incontri che facciamo viene alla luce quello che siamo, la cultura e la formazione devono nutrirci quotidianamente, il nostro futuro non può che dipendere dalle priorità che ci diamo strada facendo. Sedersi intorno al tavolo di Educatori Senza Frontiere vuol dire sentire di aver inserito Educatori Senza Frontiere nei piani della propria vita e questo sta a significare un processo di fondazione che, in fondo, è appena iniziato.
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