di Marzia Inzeo
Cosa mi porto a casa?
Questa domanda me l’ha fatta Carlo, uno dei ragazzi della comunità, una sera che eravamo fuori dalla sala, dopocena nel momento “sigaretta”; uno di quei pochi momenti in cui si sta tutti insieme in modo spontaneo, senza obblighi, compiti, tempi o organizzazioni predeterminate. Sembra ci si muova a riempire gli spazi vuoti, un po’ come nel gioco della “zattera”. Si sceglie di sedersi accanto a qualcuno o su una panchina vuota, attendendo che qualcuno si sieda, o forse no… e poi si chiacchiera, del nulla o di un pezzetto di se. Oppure si gioca… o si sta in silenzio.
Difficilmente ho visto litigi in uno di questi momenti.
I litigi solitamente si innescano a tavola… strano se si pensa sia un momento di piacere nel condividere un pasto, e la maggior parte delle volte è così. Ma è anche il momento in cui bisogna saper individuare il limite, il confine del rispetto dell’altro, e questo non è sempre facile.
Il tema di quest’anno è proprio il CONFINE. Non poteva capitare un tema più calzante.
Nel ruolo di ESF, ovvero di volontaria che decide di mettersi in gioco, di proporre a dei ragazzi in difficoltà degli strumenti di consapevolezza, o semplicemente degli stimoli per toccare un po’ più in profondità dei nervi scoperti, fin dove mi posso spingere?
In qualità di Tutor qual è il confine tra guidare e proteggere il gruppo in una direzione, e lasciare spazio prendendosi la responsabilità anche di sbagliare, purchè tutti insieme?
E ancora qual è il confine del rischio che ci si assume quando si tenta di andare oltre, generando un caos che si ritiene indispensabile, sapendo che il tempo è quello che è, e sarà qualcun altro magari a rimettere a posto i pezzi.
La comunità è un concentrato della società. Si possono vedere da vicino tutte le dinamiche che caratterizzano l’essere umano nella relazione e le relative conseguenze.
Alla Mammoletta c’è qualcosa di magico ed esoterico: una spirale che si avvita nel tormento e si svolge nel bisogno di amore, che si traduce a sua volta in parola, in abbraccio, in richiesta di aiuto.
Mi porto a casa la consapevolezza di essermi messa in gioco, di aver accolto le mie paure, di aver sperimentato, rischiato, di aver sbagliato e forse “aggiustato”.
Mi porto a casa l’essermi vista nelle loro fragilità, nel loro bisogno di affermazione, nella loro stanchezza, nella loro violenza, ma soprattutto nel loro bisogno di essere visti, ascoltati e amati.
Mi porto a casa la speranza, perché dopo due settimane di campus ho raccolto un “cesto” pieno di opere meravigliose create da ragazzi dotati di un’inesauribile fonte di creatività, abbondanza e bellezza.
Ancora una volta mi porto a casa tutta la gratitudine che ho verso la Mammoletta, ESF e la vita per avermi dato questa opportunità.
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