di Francesca Cervo
Arrivare a Huambo non è mai semplice.
Molte cose non sono cambiate in questi anni ed ogni volta ti chiedi perché andare, perché tornare?
Huambo è una comunità che ospita ragazzi tra i 6 e i 17 anni. Sono cresciuti tanto dalla mia ultima volta qui. Quelli che 4 anni fa erano i piccolini, ora sono giovani adulti, orgogliosi della propria barba e della loro altezza e si occupano dei più piccoli; bimbi che arrivano dalla strada per la maggior parte, abbandonati o con condizioni familiari molto misere. Le regole tra i ragazzi sono sempre le stesse, non ci sono regole scritte! Si pratica del sano nonnismo tra loro, c’è poca voglia di riordinare la casa e tantomeno voglia di studiare: insomma i ragazzi di Huambo sono dei ragazzi come tutti.
Allora cosa c’è di straordinario?
In questi anni, io ho trovato il mio straordinario. Ogni volta diverso ed in questa diversità non mi sarei mai aspettata di ritrovare lui, il piccolo Pinto.
L’ho conosciuto 4 anni fa, era un bambino di 7/8 anni, è sempre difficile decifrare la loro età. Arrivato nel centro, dopo qualche periodo di conoscenza, Pinto era il piccolino che ti veniva vicino, voleva le attenzioni che tutti i bambini a quell’età meritano. Si divertiva a farsi fotografare con quella sua grande finestrella tra i denti. I suoi occhi troppo profondi per un bambino così piccolo. Faceva i capricci come tutti i bambini e quando qualcuno gli faceva un dispetto usciva tutta la sua rabbia e le urla arrivavano lontano.
Sono andata via 4 anni fa, chiedendomi tutta quella rabbia da dove venisse, augurandogli di crescere e diventare grande e felice. Oggi lo rivedo, la finestra è stata chiusa da un sorriso timido ma potente, gli occhi sono diventati ancora più profondi, è alto ed ora può ingannare meglio la sua età. E’ schivo, mi vede, mi cerca, mi evita. Io rispetto il suo spazio, non forzo nulla, per lui e per me. Fa quello che c’è da fare nel centro. Dice di stare bene, gli occhi guardano basso e da quel basso dice di non voler stare lì, vorrebbe tornare in famiglia. Una famiglia che non lo vuole, perché la zia è anziana non può tenerlo, la mamma ubriaca e il papà chissà…
Qui capisci che tutte le tue parole saranno superflue, qui capisci quanto un bambino ha già vissuto una vita da grande e non sa come si gioca ad una vita da piccolo. Qui capisci la forza di quella rabbia. Qui capisci perché loro si meravigliano giocando con le bolle di sapone e tu la senti esplodere nel cuore.
Qui ho salutato la bolla di sapone chiudendo gli occhi e desiderando per lei di non scoppiare.
Perché ti domandi che rumore possa fare una cosa coì delicata quando scoppia.
La mia bolla oggi ha il rumore della terra che si alza quando i piedi ballano a ritmo di musica, i colori unici di un tramonto sempre straordinario per noi e troppo ordinario per loro, ha il rumore delle risate nel giocare insieme, la curiosità nei materiali che portiamo, il rumore della risata al regalo di un paio di ciabatte, il rumore dell’ago e filo nel rammendare una camicia. Perché ho capito che è meglio concentrarmi su questo rumore e perdonare quello che non capisco.
Sentire il rumore del tempo regalato
Semplicemente.
Ed anche il tempo qui ha la durata di una bolla di sapone. La segui con lo sguardo, vorresti romperla ma la ammiri e poi…sparisce. Si dissolve nell’aria, ti bagna il viso e chiudi gli occhi… Huambo è una bellissima bolla di sapone. Huambo è fatta da bolle di sapone.
E per ognuna di loro ti chiedi che rumore faccia…
Chiudi gli occhi
Sorridi
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