Scritto da
Gabriella Ballarini
È venerdì d’autunno, il Parco Lambro qui a Milano ce lo racconta con tutte le sfumature possibili.
Arrivano le ultime iscrizioni, prepariamo le cartelline, la scaletta delle giornate, Cristina pensa alla presentazione delle attività, Io cerco di trovare tutto il materiale che mi serve, il don dalla sua scrivania ci chiede come abbiamo pensato di impostare la domenica. È tutto pronto. Stefania (l’ultima indecisa) mi scrive appena sveglia e mi dice: “Nel dubbio si fa la cosa che sembra più saggia: non perdere un’ occasione. Ci sarò. “
Siamo trenta, aspiranti educatori senza frontiere, aspiranti volontari e volontarie, aspiranti viaggiatori e viaggiatrici. È come iniziare ogni anno per la prima volta, attendere che arrivino tutti, le sedie a circolo e gli sguardi a “punto di domanda”, così vi immagino, voi che partite da casa con lo zainetto e il sacco a pelo e la penna che scrive veloce e il quaderno per gli appunti e la solita curiosità del “primo giorno”.
L’erranza educativa sarà il primo tema che affronteremo, con il contributo del professor Vico e di Cristina Mazza che ci illustrerà come questa nostra erranza ha viaggiato e come il nostro “infradito” sia diventato un metodo. Il sabato pomeriggio ce lo dedichiamo per fare in modo che le nostre storie si incrocino, si confondano e ci confondano un po’.
Proveremo ad immaginarci come se fossimo in partenza e come se la meta fosse il viaggio stesso, come diceva qualcuno, ma noi siamo così, noi rubiamo sempre un po’ di idee e illusioni altrui per farle più nostre.
E allora per salutarvi ruberò anche questa poesia, questo elogio, l’Elogio dei piedi di Erri De Luca:
Perché reggono l’intero peso.
Perché sanno tenersi su appoggi e appigli minimi.
Perché sanno correre sugli scogli e neanche i cavalli lo sanno fare.
Perché portano via.
Perché sono la parte più prigioniera di un corpo incarcerato. E chi esce dopo molti anni deve imparare di nuovo a camminare in linea retta.
Perché sanno saltare, e non è colpa loro se più in alto nello scheletro non ci sono ali.
Perché sanno piantarsi nel mezzo delle strade come muli e fare una siepe davanti al cancello di una fabbrica.
Perché sanno giocare con la palla e sanno nuotare.
Perché per qualche popolo pratico erano unità di misura.
Perché quelli di donna facevano friggere i versi di Pushkin.
Perché gli antichi li amavano e per prima cura di ospitalità li lavavano al viandante.
Perché sanno pregare dondolandosi davanti a un muro o ripiegati indietro da un inginocchiatoio.
Perché mai capirò come fanno a correre contando su un appoggio solo.
Perché sono allegri e sanno ballare il meraviglioso tango, il croccante tip-tap, la ruffiana tarantella.
Perché non sanno accusare e non impugnano armi.
Perché sono stati crocefissi.
Perché anche quando si vorrebbe assestarli nel sedere di qualcuno, viene scrupolo che il bersaglio non meriti l’appoggio.
Perché, come le capre, amano il sale.
Perché non hanno fretta di nascere, però poi quando arriva il punto di morire scalciano in nome del corpo contro la morte.
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