di Monica Cimbro
“Non ti preoccupare di come farai a comunicare, a Rishilpi si parla la lingua del cuore”.
Con queste parole la mia omonima Monica mi aveva rassicurato prima della partenza per il mio primo viaggio in Bangladesh, a Satkhira, una città in un’area rurale del distretto di Khulna, vicino al confine con l’India.
Scopro subito che siamo proprio al limitare del Sundarbans, l’immensa foresta di mangrovie della quale ho sentito spesso parlare perché é uno dei luoghi più colpiti dalla crisi climatica, una difesa naturale per le popolazioni locali, minacciata da cicloni e alluvioni. Il paesaggio é pieno di piccoli stagni di acqua dolce, i pukur, e non é raro vedere persone che ci fanno il bagno. Le risaie si alternano alla vasche per l’allevamento dei pesci e dei gamberetti. Qui la gente vive prevalentemente di quello e di un po’ di agricoltura. Il bangla é una lingua indoeuropea antichissima, deriva in parte dal sanscrito. Ha un suono molto musicale, talvolta nasale e cantilenante; i bengalesi spesso accompagnano i suoni con movimenti del capo.
Mi diverto quando Teresa, una simpaticissima volontaria veterana di Rishilpi che ci accompagna in questa esperienza, si lancia senza timore nelle conversazioni, mescolando l’italiano a qualche parola bengalese. Eppure tutti sembrano capirla! Già, la lingua del cuore.
Passa il tempo e il vocabolario cresce: shubo dina, buona giornata; subha ratri, buona notte; bhalo, buono; sundara, bellissimo; donh no bad, grazie.
“Paese significa Storia
E Storia significa lingua
Impara la tua direzione
Da gente che non ti somiglia
Il viaggiatore, Mercanti di liquore”
E’ ancora poco per imbastire una conversazione, ma tra inglese e italiano, che alcuni dei ragazzi che vivono nell’ostello all’interno del Centro conoscono bene, riesco ad imparare qualcosa di più. Sono due tra i più grandi, che mi raccontano con grande pudore e delicatezza la loro storia.
La disabilità in Bangladesh é ancora vissuta come una vergogna, nel migliore dei casi viene nascosta, nel peggiore, che non é infrequente, il destino é l’abbandono. Il loro destino li avrebbe relegati alla solitudine, all’emarginazione, alla privazione di qualsiasi diritto, all’invisibilità. Mi raccontano con orgoglio dei loro studi, della loro vita di tutti i giorni nella famiglia ritrovata al Centro, dei loro sogni, di un presente e di un futuro possibili.
Qui tutti sono chiamati per nome, é questo il segreto e il cuore di Rishilpi. Io mi sento come la bambina affacciata alla porta, piccola e con uno sguardo curioso su qualcuno che non mi somiglia ma a cui sento di appartenere dentro un mare di umanità.
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