Lui lì, seduto sul divano del suo studio. Dietro le spalle grandi finestre che fanno entrare tanta luce e fuori gli alberi ormai spogli, intirizziti dal freddo autunnale. Il vento stacca piano piano le foglie ormai destinate al terreno. “I colori dell’autunno sono così belli” mi dice.
Dietro le grandi finestre, il Lambro, amico e nemico di tante battaglie. Quel fiume che si gonfia ancora durante le grandi piogge e che spaventa Milano e i suoi abitanti, che diventano furiosi e arrabbiati come le sue acque impetuose. Spaventa anche lui e ogni volta che il fiume si arrabbia lo costringe ad andarsene e a lasciare la sua casa.
Lui vive a Milano dagli anni ’80. Lì in quel parco che porta il nome del fiume che lo attraversa.
Lì in quel parco testimone di tante vicende dolorose.
Lo guardo così imperioso nella seduta, gambe incrociate, occhi vispi. “Allora? La vuoi sentire questa storia?” mi urla dalla sua scrivania, mentre io mi arrabatto nelle mille cose da fare.
Mi avvicino, mi sistemo sulla sedia di fronte, aziono il registratore e prendo carta e penna. Lui è un uomo “famoso”. Mi sento quasi in imbarazzo a farmi raccontare la sua vita, o meglio un pezzettino di storia della sua lunga vita. È un giovane di 95 anni con il cuore malandato ma i pensieri vispi e saltellanti, l’intuito brillante e la voglia di non perdere di vista la vita.
È nato a San Massimo, una piccola frazione di Verona, il 30 novembre del 1929.
È nato in una stalla, quella del nonno, con gli animali a curiosare. Lì faceva più caldo – mi dice. “Ecco cosa ha in comune con il Natale” mi sono detta.
Inizia a raccontare la sua vita, dalla morte del padre, alla povertà infinita e alla fame sofferta, fino alla scelta del sacerdozio. E poi il Parco Lambro, l’amore per la gente, l’educazione come obiettivo e pratica di vita. E poi il mondo, dall’Africa all’America Latina, all’Asia all’Europa dell’Est, insieme agli Educatori senza Frontiere con il passo, la testa e il cuore a portata di mano. “Voi siete la speranza del mondo – ci dice sempre – voi siete la mia speranza”.
Abbracci e baci dati ai poveri, ai ragazzi di strada barcollanti per una dose maledetta, abbracci condivisi e così stretti da soffocare e far male quasi a far passare tutto il bene e l’amore che conteneva quel suo cuore grande e generoso, raccogliere vite infrante e regalare dolci parole di speranza, chinarsi sui disgraziati dei marciapiedi, accarezzare la guancia dei ragazzi di Ambalkilonga e baciare la fronte in segno di benedizione. Quante volte gliel’ho visto fare!
Lo guardo mentre racconta e osservo le dita delle sue mani che danzano una danza immaginaria, segnando nell’aria strade e sentieri percorsi nei suoi ricordi, quasi a marcarli sul foglio invisibile davanti a lui. Mi colpisce guardandolo, la sua risata nel ricordare i strani fatti accaduti nella sua lunga vita. Continua il suo racconto che piano piano giunge alla fine, cambia il tono della voce e le mani trovano riposo.
Lo lascio ai suoi pensieri. In una mezz’ora ha raccontato una storia che a me pare meravigliosa ma che per lui è solo normalità.
Durante il suo racconto si sono aperte mille altre storie che avrei voluto esplorare per tessere i fili di una storia unica e particolare.
Lo guardo seduto ancora sulla poltrona verde, si è fatto sera. Fuori è buio.
Mi sembra che la stanza sia pervasa da presenze che non saprei definire. Come se tutte le figure che sono via via apparse durante il racconto fossero sedute li ad ascoltarlo, perché lui ha avuto la capacità di renderle visibili anche a me.
In questo tempo della sua vita, quando i giorni si fanno corti e lasciano posto a quelli che verranno come le foglie d’autunno che si staccano dai rami, sembra quasi che lui possa ricominciare anche domani, con l’energia di un giovane appassionato che intravede strade impossibili da percorrere, implacabile nell’azione, veloce nell’intuizione.
Buon compleanno a te uomo di un tempo passato, radicato nel presente, proiettato nel futuro. Lunghi anni di sapienza a te.
Grazie don
Cristina Mazza
presidente di Educatori senza Frontiere
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