di Charlie Rigoni

Margherita è luminosa e accogliente: ci sono i teli colorati, i tappetini ordinati per terra, la musica in sottofondo e immagini sulle pareti che raccontano delle persone che sono passate di qua.

Ma rimane pur sempre una stanza. Piena di sconosciutə, per di più; persone che, sì insomma, un po’ conosci, ma niente di più.

Lavorare con il corpo? Io? Giocarci, con il corpo? Questa cosa che mi è sempre sembrata ingombrante, inadatta, quasi un intruso. Che a volte se ne va per conto suo e a volte non riesco proprio a smuovere.

Mi riconoscevo tanto in quellə ragazzə che a volte non sapevo più da che parte stavo.

è bastato poco per sentire che non c’erano parti: eravamo tuttə insieme ad esplorare ed esplorarci, un movimento dopo l’altro, una risata dopo l’altra.

Pensavo di dover saper fare tutto per essere d’aiuto, ma sto imparando a riscoprirmi fragile.

Lə ragazzə sono arrivatə pienə di voglia di provare, senza sapere cosa aspettarsi. E si sono sorpresə, ma non tanto di quello che gli abbiamo proposto: si sono sorpresə di quello che hanno tirato fuori da loro stessə, di essersi appassionatə a qualcosa che non conoscevano. Per dirlo con le parole di una di loro, “oggi chiudevo gli occhi e dentro la mia testa era un parco giochi”.

Anch’io mi sono sorpreso: di vedere un gruppo così stranamente assortito condividere le proprie unicità, ascoltandosi e prendendosi cura l’unə dell’altrə.

Ci siamo mossə come bambinə appena messə al mondo, o alieni arrivati da pianeti lontani. Ogni oggetto era nuovo; le spugne erano più ruvide tra le mani, lo spago teso tra le dita era più sottile, perchè stavolta ci stavamo facendo attenzione.

Quando metti una maschera, il mondo intorno cambia; è scomoda, non vedi bene, il respiro è affannoso. “Muoviti come se fossi in una foresta”. Improvvisi e la stanza scompare: sposti i rami e ti fai strada tra le fronde, spuntano gli alberi e i cespugli.

Attraverso la maschera, non c’erano più i corpi che non ci piacevano, il mondo dal quale volevamo scappare, o gli sguardi giudicanti. C’erano persone che ridevano con noi, non di noi.

I nostri corpi timidi e impacciati non erano più solo corpi: si incastravano tra loro formando quadri viventi, foreste rigogliose e città brulicanti di movimenti.

Pensavo che le maschere servissero a nasconderci, ma ho scoperto che, in realtà, ci hanno permesso di essere autenticamente noi.

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