Radiohead, Amazon e Soviet Block

di Vittorio Randone

“A fost odata ca niciodata” – così cominciano le favole romene. Molto, molto tempo fa era
così come non è mai stato.


Se fossi Jake Scott e dovessi girare il videoclip di “Fake Plastic Tree” dei Radiohead,
inizierei con la stessa scritta.


Siamo nel 1995: Cobain è morto, anche il comunismo. In Jugoslavia ci si massacra da
qualche anno. Pure in Romania non se la passano tanto bene, nonostante si inizi a
parlare di NATO e UE. Nelle sue canzoni, Thom Yorke non è ancora riuscito a dare degno
respiro al suo disagio personale. Forse la sua difficoltà è simile a quella del popolo
romeno che non riesce a manifestare sentimenti chiari su come ci si senta dopo
l’uccisione di Ceausescu e la caduta dell’URSS.


Dicevo, inizierei il videoclip con quella scritta: bianca, su schermo nero. Poi una
transizione sulla città di Bucarest vista dall’alto, ancora qualche secondo di silenzio. Il giro
di chitarra con cui si apre il pezzo è così semplice da suonare quasi scontato. Ma dopo
soli tre secondi ecco la voce di Thom, dolce come una carezza, che ci prende per mano e
ci porta dentro una di quelle case. Siamo all’interno di un Bloc e incontriamo lei, una
donna che ha appena acquistato un annaffiatoio di plastica verde.


Domanda: perché ambientare il video in Romania? Risposta: perché iniziare una canzone
con le parole “green plastic watering can” è una cosa strana e la Romania, ecco, è una
cosa strana più o meno allo stesso modo. Perché anche Bucarest è quella cosa che
guardi e ti chiedi “ma che senso ha?”.


Dicevo, c’è una donna, l’annaffiatoio l’ha comprato da un uomo di plastica, lo usa su una
piantina di plastica, messa in un vaso di plastica. Sulla scelta dell’attrice non ho dubbi.
Victoria Wyant è pronta per la parte: è la protagonista dell’ultima campagna di Amazon
(quella con la colonna sonora di Christine and the Queens, per intenderci) in cui si trova in
una casa che assomiglia molto al Bloc sovietico e anche in quel caso si ritrova tra le mani
un annaffiatoio di plastica verde.


Se nella pubblicità di Amazon si sentiva persa e per ritrovarsi guardava al passato,
volgendo lo sguardo alla casa che ha appena salutato; nel videoclip dovrà liberarsi dalla
sua storia, cancellare se stessa. Se prima si lanciava verso il futuro, abbracciando le sue
piante e respirando con loro un’aria nuova; ora, invece, non troverà niente di meglio che
circondarsi di futilità e finzione. Piante di plastica, appunto. Ma queste che sembrerebbero
delle contrapposizioni, solo in apparenza lo sono e le une non possono esistere senza le
altre.


Piante vere o di plastica? Ecco, vorrei girare il videoclip di “Fake Plastic Tree” con
quell’attrice in un Bloc di Bucarest perché la Romania è un paese che può tenere insieme
tutte queste cose, al punto da rendere difficile distinguere la metafora dal letterale.

Perché anche il nostro viaggio è stato tante cose.


Siamo nel 2024, in Romania. Un gruppo di cinque persone si trova nella regione della
Vrancea, tra Marasesti e Panciu.


Anche loro sono stati in un Bloc, anche loro hanno preso una pianta. Vera, di plastica, nel
dubbio l’hanno messa in un frigo per farla durare più a lungo.


She looks like the real thing,
she tastes like the real thing.


Dissolvenza al nero.


Fine.

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