di Francesca Varvara

Il vento caldo sulla pelle allontana i miei pensieri, mentre i passi, scricchiolando, spostano i ciottoli sul sentiero per raggiungere il mare. Una voce gentile al mio fianco mi chiede di sperimentare l’abissale pace che si percepisce quando la testa si trova immersa nel blu cristallino.

Respiro, scendo ed eccolo: il silenzio. Per qualche secondo il mondo si annulla, risalgo e appena la testa sfiora la superficie sento riecheggiare di nuovo i suoni della vita che in pochi attimi mi riconducono verso chi sono. Mentre il mare ondeggia dolcemente e mi tiene a galla, chiudo gli occhi e ripenso ai primi momenti di questa straordinaria esperienza.

Isola d’Elba, 28 luglio 2024.

Ho appena varcato la soglia della Mammoletta e sulla destra scorgo l’orto, caleidoscopio di colori, lo costeggio percorrendo la salita che mi condurrà verso l’inizio di questo viaggio: entrare a far parte di una meravigliosa e diversificata famiglia come quella presente alla Mammoletta non può che essere un’occasione per sperimentarmi, mettermi in gioco e riorientarmi continuamente, un’occasione per entrare in relazione con l’altro senza timore e senza giudizio, perché sono in un posto in cui il tempo si dilata, si annulla e si ricompone in forme sempre nuove; un luogo in cui ognuno trova il suo spazio di poter essere, singolarità in un labirinto di esistenze, tanto diverse eppure così simili, unite dalla necessità di ritrovarsi. 

Attraverso i corridoi della mia memoria e riscopro i momenti di convivialità e musica, ma anche quelli di difficoltà e incertezza, tutto è parte del cammino.  

Cura di sé, degli altri e del mondo: è questo quello su cui una famiglia come quella che mi ha accolto alla Mammoletta si poggia. Partendo da questa consapevolezza comune abbiamo, insieme, percorso i temi del senso di appartenenza alla comunità, della fiducia, del potere della vulnerabilità e della cura, come accoglienza e custodia dell’altro, dei suoi bisogni e delle sue peculiarità, attraverso piccoli gesti gentili e attenti.

Riconosciamoci come angeli custodi, presenze costanti e incondizionate nella storia di qualcuno che è altro da me, distante, diverso, fragile; riscopriamo un “io” vivo che ha bisogno di quella presenza, di quel riferimento; siamo fari che si indicano la direzione, continuamente e reciprocamente sorretti nelle burrascose vicende della quotidianità. 


Nessuno è immune alla fragilità, alla debolezza, ma è proprio questa ricerca di riscoperta che è stata per me bussola in questa esperienza e mi ha permesso di conservare nella memoria il viaggio tra le straordinarie isole che ognuno abita.

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