di Azzurra Panaccione

Adesso che è passato qualche giorno dal ritorno a casa riesco a ricominciare a pensare, si fa un po’ di spazio nella testa, nei pensieri; che strana sensazione è stata questa qui, di non riuscire a trovare spazi vuoti, mentre sei alla mammoletta tutto si gonfia, il cuore, il respiro, il tempo.

Tutto si dilata a dismisura, le emozioni che ti camminano dentro vanno ad insinuarsi in ogni antro della tua capacità di sentire, la pazienza acquista nuove sfumature che non sospettavi di avere, il relativismo dei nostri punti di vista si attenua e ti prepari ad accogliere nuove prospettive, e dunque ti espandi e il mondo attorno a te fa la stessa cosa.

 E’ un viaggio di fuori e di dentro, si cresce in parallelo.

Non è stato semplice tornare a casa e rimmergersi nella  vita precedente, ci servirebbe qualche giorno di viaggio per tornare , una certa gradualità per ritornare a sentire le cose con la naturalezza di prima. Quando si fanno esperienze così intense torni cambiato, diverso, più ampio, più profondo, si intensifica il contatto con la parte più emotiva del nostro essere.

Come il mare che ospita la mammoletta, è una metafora perfetta per raccontare questo viaggio.

Se  dovessi descrivere con un’immagine quel posto sarebbe proprio un mare, con dentro i suoi pesci e un orizzonte di sole che abbraccia tutto.

I pesci che nuotano in mille direzioni, ognuno che arriva da profondità diverse, incrocia il suo andare con tanti altri pesci , nuotano in abissi profondi, con il loro vissuto difficile, con le correnti avverse che ostacolano il loro procedere, li tengono fermi, sospesi in un tempo senza tempo, dove ogni fibra del loro essere è tesa a lottare  per sopravvivere, per superare la corrente contro, per respirare in acque più limpide, meno turbolente, più miti e accoglienti, dove la vita diventa più chiara.

Serve perdersi per ritrovarsi, come ci ha detto una volta un educatore ESF, prendersi cura di sé e dell’altro, allo stesso tempo, e incontrando l’altro si incontra un nuovo sé, e così ci si ritrova diversi da prima, migliori di prima.

Questo succede alla mammoletta, così succede la magia di quel posto, in un contesto dove le onde attenuano i rumori del mondo, il rumore del mare trattiene il frastuono, diventa un suono ristoratore, il suo incessante andare e tornare trattiene i pensieri, li frena , li ridimensiona e allora tutto può accadere.

Si entra in un modo e si esce in un altro, completamente diverso, rinnovato. Puoi toccare con mano la metamorfosi perché durante il campus ci sono i ragazzi che sono in percorso e ci sono i ragazzi che lo hanno finito ma tornano per tendere una mano a chi sta attraversando un cammino che loro hanno già camminato e che nessuno meglio di loro può comprendere e capire. E sanno quando serve una parola quando invece è meglio un silenzio, sanno quando dare un abbraccio e quando invece serve lasciare spazio.

Poi arrivano le maree, l’acqua si gonfia e nessuno ne rimane immune, si sentono le cose tutte insieme, questa vita comunitaria è molto affascinante, stai lì ad aiutarti e mentre ti aiuti sei anche aiutato e come nel bene così anche nel male, quando c’è una turbolenza questa si propaga nelle molecole dell’acqua , in questo piccolo microcosmo si palesa un meccanismo che è squisitamente umano e naturale, siamo tutti legati, l’uno all’altro da un’energia invisibile che attraversa ogni essere vivente e ci rende responsabili delle nostre azioni, in fondo, se sappiamo vederlo e capirlo questo meccanismo di comunione universale.

E quindi è una palestra di vita e ci vuole coraggio a vivere tutti insieme, a non rinchiudersi a riccio nel proprio dolore, a ricominciare ogni giorno e andare in contro all’altro, a lasciarsi smascherare nel proprio disagio, a mostrarsi indifesi e stanchi e, nonostante tutto, a lavorare insieme, a cercare un obiettivo comune, a sostenersi a vicenda quando qualcuno vacilla e sostenendo il tuo compagno impari a sostenere anche te, impari che dentro di te ci sono tutte le risorse di cui hai bisogno, basta scuotere un po’ e la mammoletta ti scuote ogni giorno, ogni ora e ogni secondo.

Ci sono nuovi arrivi e partenze, si impara a trattenere e a lasciare andare, si impara ad accogliere ogni nuovo sconosciuto che porta con sé, ogni volta, un nuovo mondo e quel mondo si andrà a mescolare con tutte le altre vite che già stanno lì, porterà nuova energia, alle volte la toglierà, riscompigliando e ricreando nuovi equilibri.

Si impara a rialzarsi, si impara che dopo una caduta c’è sempre un’altra possibilità, anzi, forse tutte le nostre cadute sono proprio le occasioni che la vita ci pone per insegnarci a rimetterci in piedi, per farci sbirciare dentro le profondità della nostra voglia di vivere, ineluttabile e sacra.

E’ il tempo della lotta e sempre si può vincere. E’ un luogo sospeso che esiste fuori di noi, fisicamente, in un’isoletta toscana, è un’isola nell’isola ed è al contempo un luogo metaforico che esiste dentro l’anima, è il luogo della scoperta di sé che ci mostra un orizzonte di libertà, al quale si anela con commovente tenacia e ostinazione.

Mi viene in mente una stupenda poesia di Baudelaire che si intitola “L’uomo e il mare”, lo svolgere infinito delle onde e  l’implacabile suo moto è lo specchio dell’anima, dei suoi trionfi e delle sue cadute, della sua inesauribile capacità di rinnovarsi  e così, adesso che questa meravigliosa esperienza è terminata,  torno a casa con un grande scrigno di speranza e fiducia  in fondo al cuore.

E’ il mio tesoro in fondo al mare.

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