di Giulia Musso

Sul traghetto che ci portava all’Isola d’Elba, Fede e Diana, le nostre tutor, ci hanno lasciato un post-it con scritto “Alle onde del mare vorrei lasciare” e noi dovevamo concludere la frase. Mentre pensavo a cosa scrivere su quel foglietto, osservavo il mare e le sue onde. Ero emozionata, sicuramente un po’ tesa e con tanta voglia di scoprire che cosa avrei vissuto una volta approdata.

Non è semplice provare a riassumere questi 10 giorni in poche righe … 10 giorni sono pochi ma alla Mammoletta il tempo sembra fermarsi.

I ritmi sono frenetici, tutto scorre veloce ma allo stesso tempo la lentezza e la cura sono le parole magiche di questo posto. Una lentezza fatta di sguardi, sorrisi, abbracci delicati, parole e silenzi. Una cura nell’ascoltarsi, nel sostenersi e nell’accogliersi.

I primi giorni alla Mammoletta ci siamo osservati e conosciuti: c’eravamo noi ESF, i ragazzi della comunità e i nuovi ragazzi del campus. Le giornate erano scandite dalla colazione insieme, dal suono della campana che ricordava l’inizio delle attività, l’ora del pranzo e della cena, l’immancabile appuntamento pomeridiano per andare a fare il bagno al mare, a Schiopparello, e le chiacchierate sulle panchine durante i momenti di pausa.

Sono tanti piccoli istanti, che insieme formano quella magia che si crea alla Mammoletta, che è una comunità un po’ atipica perché profuma fin da subito di casa, di famiglia e di tanta bellezza. Bellezza nell’osservare ciò che è successo giorno dopo giorno, passo dopo passo.

La bellezza è anche il bosco in cui la Mammoletta è immersa, con i suoi mille colori, profumi e suoni. Ti ritrovi lì, e improvvisamente ti sembra di essere così lontano da tutto il resto, in un piccolo mondo a sé stante.

Mi soffermo su un dettaglio prezioso, ripetuto costantemente durante questi giorni intensi e ricchi. Al termine della prima attività, è stato proposto al gruppo di formare un cerchio stretto, spalla contro spalla, chiudere gli occhi e ascoltare. Ad un certo punto, uno di noi ESF avrebbe battuto le mani e dopo tutti gli altri le avrebbero battute insieme. All’inizio i battiti erano incerti, un po’ sconnessi perché ognuno andava per conto suo. Con il passare dei giorni quel battito di mani, ripetuto al termine di ogni attività, si è armonizzato sempre di più. L’ultimo giorno il battito di mani è stato uno solo, coordinato, forte e delicato allo stesso tempo. Tutti insieme.

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