di Piscilla Cecconato

Ogni viaggio e le sue tappe, si, proprio quelle… quelle che non tocchi ma che vivi.

Immagina di non poter scegliere la destinazione del tuo viaggio, che un giorno ti arrivi una lettera con scritto “Caro educator* senza frontiere, tu l’8 luglio andrai a Milano a realizzare un campus per i bambini della durata di due settimane” e tu che con i bimbi non ci hai mai avuto a che fare, che non ti ci vedi proprio con questa utenza, che un po ti chiedi che contributo potresti mai dare; tu, proprio tu, che avresti sperato in una collocazione differente, ti ritrovi catapultata in un contesto nuovo e ti senti spaesata. Però al contempo non vedi l’ora di assaporare ciò che ti spaventa, di viverti l’esperienza da cui non sai cosa aspettarti, che riconosci come un vero e proprio viaggio anche se a Milano, perchè sei consapevole che il viaggio non è la meta o la destinazione bensì il cammino interiore che quel viaggio genererà dentro di te, e questo non è il luogo che te lo garantisce ma lo spirito con cui ti accingi a viverlo.

Prima tappa: accogliere ogni bellezza offerta, anche se all’inizio non sembra tale.

E così prepari la tua valigia, nella quale non sai bene cosa inserire perchè ti chiedi “sarà forse troppo vuota o troppo piena per una destinazione come Milano? Non stai partendo per un viaggio oltreoceano, ma al contempo se poi hai dimenticato qualcosa?” Prima di approdare non pensi che sei vicino a un parco e che quindi, in parte, è un po’ come essere in un ambiente circoscritto, lontano da molte cose, e che la valigia non è mai troppo piena ma neanche troppo vuota.

Ma alla fine parti e incontri dei bambini che parlano una “lingua” a te sconosciuta (chi sa che cos’è Encanto ad esempio, io no, per me era una canzone vedete voi), che conoscono giochi di cui non hai mai sentito parlare e così affiorano tutte le tue paure: la paura di non essere abbastanza brava, di non farcela, di non essere all’altezza della situazione, di non essere la persona giusta per fare delle attività con i bambini o semplicemente la paura che essere se stessi sia sbagliato perché troppo piena di fragilità.

E così fatichi a lasciarti andare, a mostrarti, a esprimerti, a farti conoscere, a far sì che chi ti circonda colga te stessa con le sue mille sfaccettature; e invece ti limiti, ti inondi di blocchi e così non ti sovviene nulla da dire, da proporre, e trascorri quasi una settimana intera a considerare tutte le altre volontarie migliori di te. Non ti riconosci nulla di positivo perché i tuoi occhi non sono proiettati a cogliere il bello che anche tu sai generare, bensì a tutte le tue mancanze, a tutto quello che però solo un supereroe potrebbe fare.

E così arrivi a metà viaggio che non ce la fai più, che prometti a te stessa di andartene, che quel viaggio e quel luogo non sono giusti per te; ma al contempo ti chiedi “E se fossi stata in Madagascar te ne saresti andata? Avresti cambiato il biglietto perché ti sentivi scomoda? O avresti re-agito di fronte al tuo malessere? Non è che forse sei tu stessa che lo stai generando? Altrimenti perchè gli altri riescono a stare e si divertono e tu no? Stai dando il tuo 100%?”

E così scegli di non ascoltare le vocine nella tua testa e quel groviglio nello stomaco, perchè riesci ad affrontare le successive tre tappe di un viaggio:

  1. la visione delle difficoltà,
  2. l’accettazione di esse e
  3. la proattività per affrontarle.

E’ proprio dopo esserti dat* la possibilità di valicare tutte queste tappe che riesci a presentare al tuo gruppo di viaggio cosa ti sta facendo star male e la potenza insito in esso è che, un po per magia, già dalla sera stessa qualcosa dentro di te scatta e inizi a mostrare semplicemente Priscilla.

Ed è in questa “trasformazione”, in questo tuo sbocciare, che ti senti viva…

  • viva nella capacità scoperta di saper proporre attività per i bambini…
  • viva nel ritagliarti un momento con ognuno di loro per invitarli a conservare o a tirare fuori il meglio di sè, per far sì che ogni fragilità che si riconoscono possano d’ora in poi vederla come risorsa (come del resto dovrò imparare io a fare)…
  • viva nel sentirsi dire da una bambina che “sei stata molto buona con me maestra e ti voglio bene” perchè in lei hai rivisto una piccola te che avrebbe avuto bisogno di sentirsi dire le parole che tu hai speso per lei in alcuni momenti…
  • viva negli occhi delle altre volontarie che ti hanno sempre fatto sentire a casa…
  • viva nei racconti e nei momenti trascorsi con i ragazzi della comunità Exodus per i quali non smetterai mai di infondere gratitudine…
  • viva in quel racconto che è giunto proprio quando ti sentivi più smarrita e da una persona che credeva di non poter dare nulla…
  • viva nello sguardo di chi hai ringraziato, perchè in quell’espressione hai colto “riconoscimento”  di un’identità diversa da quella che gli viene attribuita…
  • viva nella fiducia che è stata riposta in me e in Giada per realizzare una tela importante… 
  • viva nei ricordi che hai lasciato nelle persone…
  • viva nel tuo esserti concessa di essere semplicemente te stessa.

Quindi si, ogni viaggio e le sue tappe … perchè sono solo esse che sanno parlare al tuo cuore e a esso ricondursi.

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