di Diana Fortini
A Saurimo, in Angola, si viene svegliati dai canti e dagli avvisi ai megafoni per l’inizio della scuola. La mattina ha i suoni di una festa. Ci sono scuole tutto intorno alla struttura dove siamo ospitati. La giornata inizia presto tra i canti e il rumore della strada polverosa affollata di bambine, bambini, ragazzi e ragazze ingrembiule. C’è qualcosa che colpisce, che rimane ancora un ricordo vivido delle strade attraversate in
Angola.
È qualcosa che va oltre l’unicità dei loro lineamenti e delle stoffe dai colori sgargianti in contrasto con la
pelle. È una bellezza rintanata nello sguardo innocente, che pure se timido, non ha paura di guardare verso di me…ed è poi così felice quando si sente visto!
È nella naturalezza del condividere, nella serenità e nella facilità di distrarsi tra i rumori e gli spazi condivisi e affollati. È nel gioire delle cose più piccole, nel non pensare neanche un secondo di poter essere triste perché manca qualcosa. Nel venire vicino, nel cercare contatto con timidezza ma non paura, nel lasciarsi raccogliere.
Nella scuola delle suore che ci ospitano, solo oggi, i bambini sono arrivati nel cortile dopo di noi. Appena ci hanno viste, ci hanno circondate e dopo un primo momento di timore, abbiamo colto l’occasione per fare delle foto. Nel vedersi sullo schermo del cellulare dicevano ridacchiando con sorpresa: “sou eo!” (“sono io!”).
Forse sono contenti di riconoscersi e di sentirsi visti, di condividere questo momento insieme come una
pizza: in modo che ognuno abbia un pezzo per sé. Mentre sono qui, divisa tra storie di guerre vicine e
conflitti dentro di me, sono i bambini a ricordarmi di tutte le volte che la curiosità ha vinto sulla stanchezza e la diffidenza. Mi ricordano che è questo sguardo a creare la magia… Sentirsi visti apre le porte all’altro e a quello che potremmo diventare, mette da parte le resistenze e la diffidenza, permette il disarmo.
Con i muri abbattuti, le armi a terra e le difese accantonate si può iniziare a costruire, a scambiare e immaginare.
Così, mentre li guardo avvicinarsi a turno alla telecamera del cellulare in modalità “selfie” i pensieri passano veloci. Penso che non mi ero accorta di essere stanca; che quando l’altro sembra non capirci e ci sembra diverso e distante, devo sedermi. Fermarmi a pulire il cuore dalla polvere terrosa accumulata dalla giornata, togliere i sassi dalle scarpe, preparare un thè e ascoltare il rumore della pioggia e dei passi stanchi di chi, come me, sta portando il suo cuore nelle strade polverose della vita.
Ascoltare, osservare, bere il thè e poi ancora… ascoltare. Chiudere gli occhi, pulire i pensieri e dimenticarmi un attimo del mio ioingombrante.
Osservare da lontano com’è camminare in scarpe che non conosco, in strade invisibili il cui
tragitto si può immaginare solo dagli indizi: i graffi, il temperamento, le macchie colorate sulla pelle e le
scarpe, il ritmo nell’ andare.
E ora che ho immaginato, che viaggio può iniziare se porto anche me ad incontrare quella strada?
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