di Luisa Passannanti
Una delle prime cose che mi è balzata all’occhio dell’Angola, soprattutto nelle due grandi città come Luanda e Huambo, è stata la grande quantità di rifiuti sparsi ovunque. Forse perché ci hanno bombardato qualche anno fa di notizie che ci ritenevano responsabili della distruzione del nostro pianeta, ci siamo più o meno abituati a rispettare l’ambiente e a sapere a memoria dove vanno i rifiuti di vario tipo.
Non si vede spazzatura ai bordi della strada, non si lancia il fazzoletto con cui mi sono soffiata il naso per terra o la carta della caramella. Sono atteggiamenti automatici a cui non prestiamo nemmeno più attenzione. In Angola questa attenzione non è così comune e la grande quantità di rifiuti fa da cornice in molti luoghi e risalta maggiormente quando si tratta di ambienti naturali.
Ho potuto osservare come invece qui i bambini ci giocano, per loro è come una caccia al tesoro, scovare nuovi oggetti con cui giocare e da riutilizzare come passatempo. Inizialmente la cosa mi ha destata parecchio emotivamente. Poi ho lasciato fuori il giudizio e guardato pian piano le cose diversamente.
Nel Centro di Acoglimento Crianꞔa Feliz di Huambo che ospita bambini e adolescenti la spazzatura si chiama “liscio” in lingua portoghese ed è presente anche qui in maniera sostanziale. Un giorno abbiamo provato a fare un gioco e a fare a gara a chi ne raccoglieva di più, ma il gioco poteva durare all’infinito e anche avessimo tolto tutto sarebbe durato poco tempo “todo lindo”. Sorprende come gli educatori e gli adulti del centro e del posto non si scandalizzino per niente per tutti quegli oggetti in giro, per tutti quelli che nel senso comune sono rifiuti. La parola rifiuto definisce qualcosa di cui ci si vuole disfare, che si vuole escludere perché non ha utilizzo per chi la detiene. Qui un oggetto che per qualcuno è un rifiuto per qualcun altro può servire a qualcosa.
Qui si impara che i rifiuti non sono qualcosa di brutto o inutilizzabile, anzi sono addirittura delle possibilità di trovare un intrattenimento, un gioco, un oggetto da scoprire.
Se non addirittura, per i bambini di strada, una sopravvivenza quotidiana. Ogni tanto li vedevi lanciarsi nel liscio per giocare a fare le acrobazie così da non prendere colpi troppo duri al loro atterraggio, altre volte erano intenti a scoprire come potessero essere utilizzati pezzi di qualcosa trovato in giro, altre ancora inventavano giochi o una maniera per intrattenersi nelle pause quotidiane (tappi delle bottiglie, creazione di oggetti, di luci, gioco del calcio con qualsiasi cosa, cappelli, oggetti per una scenetta, ecc…). In questo modo si tiene viva la curiosità, si lascia spazio all’immaginazione e si crea il terreno per la creatività che per i bambini sono qualcosa di naturale, spontaneo e direi anche sacro. Ho cambiato idea e cercavo di osservarli mentre erano intenti a trasformare i rifiuti.
Anche quando non hanno oggetti loro inventano canzoni, balli o raccontano storie inventate.
E’ stato interessante osservare come l’attività di riciclo delle bottigliette di plastica proposta sembrava l’avessero già dentro di loro o come non ci fosse bisogno di palloni reali perché in qualche modo ne costruivano uno.
Dai momenti di scambio con gli educatori locali ho riflettuto sui tanti aspetti non solo materiali, ma anche culturali, umani, educativi, etici che nell’incontro tra due persone o due popoli possono venire rifiutati perché diversi. Se invece si raccoglie tutto, si interconnette, si può trasformare in qualcos’altro o trasformare un pezzetto di qualcun altro. Oppure fa semplicemente scoprire qualcosa di nuovo.
L’Angola insegna a capire come fare una specie di raccolta differenziata con l’esperienza, con la vita quotidiana, con gli incontri, con il lavoro, con le caratteristiche delle persone. Si può raccogliere e accogliere e poi differenziare tutto, provando a dargli un aspetto diverso, nuovo senza buttare via nulla.
Credo che la ricchezza di questo viaggio sia stata proprio nello scambio di atteggiamenti, esperienze, vissuti con gli educatori, mentre con i ragazzi di materiali, di visioni del mondo, di curiosità, di giochi, di canzoni, di danze e andrei avanti all’infinito. Qui si impara a raccogliere tutto e trasformarlo o ci si inventa qualcosa, si creano nuove cose, esperienze, storie. Sguardi e prospettive diverse. Anche da qualcosa che si ritiene inutile e non bello qui si impara tanto. Io ho imparato tanto di cosa prendere, lasciare, trasformare. Di materiale e non.
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