di Sonia Mariani
Fotografare significa scrivere con la luce.
È una questione di equilibrio tra apertura e tempo di esposizione.
La fisica moderna ci impone la velocità della luce come la massima velocità raggiungibile in natura e con questo semplice concetto fa a brandelli l’idea di tempo da noi ereditata che sia indipendente dalle cose e assoluto.
Per quanto mi riguarda, gli scatti sono il mio tempo, non le ore o i giorni della settimana, ma i paesaggi e le persone che fisso nella mia memoria interna sono la mia lancetta che scorre.
È quello che succede nei viaggi in fin dei conti, se può aiutarvi a capire quanto cerco di esprimere: il tempo, come lo conoscete, non esiste.
Perdonatemi la mancanza di formalità…non mi sono ancora presentata! Sono NIKON D5600…colei che mi possiede non si è di certo preoccupata di darmi un altro nome, ma è molto legata a me e alle immagini che conservo, immagini custodi di emozioni che riemergono violente come quando si aspre una finestra al mattino per far entrare la luce in una stanza addormentata.
Viaggiamo insieme da pochi anni e non sono mai andata così lontana da casa. BOLIVIA.
Ho paura di non essere all’altezza e sento che lei, per ragioni diverse dalle mie, prova lo stesso.
Riposo nella mia solita oscurità tra il suo diario di viaggio e la felpa quando mi sento afferrare.
Posso aprire gli occhi ora e guardare: c’è un fiume marrone circondato da alberi e piante mai viste mentre il cielo ha quel colore inconfondibile del tramonto. Questa è la sua prima foto e il mio primo ricordo di Riberalta.
Volti nuovi, in posa, circondano lei e le sue compagne di viaggio, curiosi e imbarazzati ma accoglienti.
Siamo in Bolivia da un po’ e ho imparato a riconoscere i momenti che separano l’ozio dal lavoro. Tra poco inizieranno i laboratori con gli studenti, poi quelli con genitori e docenti.
Mi diverte vedere i ragazzi che si imbarazzano di fronte a me, e poi vedere quelli che si fanno seri per dare un tono a quello che stanno scrivendo o disegnando: sbircio i loro racconti sopra le emozioni e le sagome dei loro corpi. Quelli più audaci invece si mettono in posa facendo un gesto con tre dita di cui ignoro il significato.
Tutto resta impresso nella mia scheda di memoria che prima di partire ha controllato avesse spazio sufficiente per farci stare dentro tutto.
Gli scatti si susseguono.
Adulti intorno a un tavolo che disegnano insieme su un foglio gigante. Adulti che tornano bambini giocando tra loro.
Adolescenti in cerchio.
Genitori e docenti in cerchio.
Passeggiate bendate e corse sfocate, emozioni difficili da mettere a fuoco.
Monseñor Eugenio.
Marco e Junior e Valdo e Carmen.
Fili che nascono da fogli e fogli che nascono dai volti o il contrario…risulta difficile capire quale sia il passato e il futuro dell’istante per una come me che sigilla il presente come un marchio sulla cera lacca. Quella rossa. Come questa terra amazzonica che si fa strato sottile sulle cose e sulle persone. Rosso come il fuoco che brucia le foreste e che ho visto durante i loro spostamenti.
Ho visto più di 300 studenti, più di 250 docenti e genitori attraversare con la loro luce il mio obiettivo perchè tutti i laboratori si sono conclusi con un autoscatto di gruppo.
Non so dire come siano i loro volti quando arrivano all’incontro ma so come sono quando se ne vanno: i loro volti sorridono rilassati, felici e divertiti.
Non quei sorrisi in posa ma con quel sorriso di chi ha il cuore pieno…fidatevi di me che, in questo, vanto di una certa esperienza!
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