di Laura D’Addario
Si annuncia con la corvèe, intorno al fuoco tra un racconto gesticolato e una timida risata. Non servono le parole, qui sono delle sconosciute, appartenenti ad un mondo molto lontano e incredibilmente vicino. Si combatte la voglia di sapere dell’altro la sua storia, è inafferrabile, ma nelle relazioni umane permane sempre qualcosa di segreto ed è anche un bene che sia così.
Seguiamo gli occhi stanchi l’uno dell’altro e fanno molto più che semplicemente registrare ciò che ci circonda, occhi curiosi che trasmettono significato con una profondità che sfida la comprensione razionale. E si avvia il dialogo silenzioso.
Il suo nome è Masoandro, lui scandisce i ritmi; permette di vedere con maggiore chiarezza, rivelando i chiaroscuri che altrimenti sfuggirebbero.
A lui piace giocare a calcetto, bocce ma soprattutto a nascondino, ti fa anche spazientire, ti scalda e ti brucia, ti raggela e ti rinfresca, con la stessa velocità con cui fluiscono i pensieri. Ti accompagna per le passeggiate, dove ti togli tutti i sassolini. Lo guardi e lui guarda te, e ti sembra di non essergli indifferente, di conoscersi da sempre; mentre ti cerca i pensieri tornano, pensi all’inconsistenza degli ideali che si reggono su parole fragili; parole che qui trovano terreno frale e si sgretolano come l’argilla che calpesti e che ti sporca irreparabilmente le scarpe.
Non te ne accorgi ed è arrivato il momento di chiudere; e caricato dalla giornata saluta, animando l’orizzonte di colori da scoprire, costringendoti a guardarlo ancora proprio laddove finiscono le ultime parole.
È un momento fugace, si allontana, ma si riesce ancora a sentire quella musica inafferrabile, che sopravviverà solo in un ricordo.
Ed ecco il rintocco della campana, una mano salda e un sorriso ormai familiare.
– “Andiamo?”
– “si, andiamo”.
Ti giri un’ultima volta e si è addormentato.
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