di Cristina Mazza
Ho rivolto poche settimane fa il mio ultimo saluto al Prof. Vico.
C’è stato un passaggio di consegne inconsapevole in questi anni, dalla nascita di Educatori senza frontiere nel 2005 fino ad oggi. Nell’anno del compimento della maggiore età di questa Associazione fortemente voluta, Giuseppe Vico passa il testimone.
Uomo dal profondo sapere, conoscitore dell’animo umano, fervente cattolico, amante della relazione educativa, costruttore di relazioni umane fondanti i percorsi di strutturazione di identità di giovani studenti assetati di sapere e desiderosi di realizzare sogni.
Ho conosciuto Giuseppe Vico, quando giovane studentessa di Scienze motorie dell’Università Cattolica di Milano, è stato Preside di facoltà. Lo ritrovo in una cena di beneficienza per quella Associazione che poi avrebbe fondato con don Antonio Mazzi.
Con lui abbiamo camminato sulle strade dell’erranza educativa. “ESF comincia a originarsi da un atto comunicativo, da una volontà di rinnovamento e di realizzazione di qualcosa che rigeneri l’educazione stessa e ne mantenga la fedeltà alla forma originaria dell’educabilità umana, intenzionata a rilanciare nelle varie situazioni storiche l’educazione contro la diseducazione, il bene contro il male, l’amore contro l’indifferenza.” (G.Vico – gennaio 2004). E ancora… “Il viaggio, l’erranza, l’educazione itinerante, la strada, la fuga, l’esilio ecc. colti non solo come simboli e metafore di quel grumo di pensieri e di realtà che costituiscono la sostanza di esistenze-limite, bensì come snodi culturali vitali identificare nuove prospettive di identità e per declinare strategie di intervento nella esperienza di culture e di interazioni nuove.
Giuseppe Vico, per noi il “Prof” è stato un grande conoscitore del genere umano con quella saggezza, esperienza e conoscenza che ha fatto di Educatori senza Frontiere un luogo di rigenerazione educativa che in questi anni ha portato a costruire numerosi progetti in ambito educativo.
Istruire giovani menti che hanno scelto la strada dell’educazione è stata “cosa appassionante” e irrinunciabile.
Scrive nel suo documento di base di Educatori senza Frontiere: “La formazione dell’educatore al sapersi rendere inutile, all’agire in prospettiva di una resa quotidiana direttamente non appagante, alla costruzione di cose che si ripetono nel tempo, all’acquisizione del traguardo imperfetto, all’esercizio elaborativo sull’educabilità e sull’evento educativo perfettibile per condizioni l’intervento di condizioni favorevoli”
Formare educatori capace di gestire la mancanza di un risultato percettibile sulla strada di una imperfettibilità è ciò che oggi preoccupa di più chi si prodiga nella formazione degli educatori. In un tempo storico dove conta il risultato che misura la capacità e l’incapacità, parlare di pazienza, di semina, di traguardi a volte irraggiungibili, sembra sempre più un’utopia. E sempre il Prof: “Il rischio educativo e l’esperienza del fallimento interpretati ed elaborati come reale opportunità di condivisione con l’uomo che soccombe ed esercita, seppur a livello minimo la propria paideia e il proprio bisogno di rigenerazione anche minima“.
Rimane in tutti noi che lo abbiamo conosciuto, quel grande senso di riconoscenza per averci reso donne e uomini amanti della strada sulla quale camminare, passo dopo passo, lasciando impronte perché altri ne potessero giovare per non perdere il sentiero in quello spirito di umanesimo che mette al centro l’uomo e la sua storia, lo povertà visibili e invisibili.
La cura dell’altro nelle piccole cose quotidiane con continuità e con significatività…. E lì che Dio avviene.
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