Scritto da Diana Fortini
Un’ altra alba ad alta quota, e già scrutava la prossima vetta. Martin era pronto a ripartire. Prese il sentiero davanti a lui e iniziò il cammino, mentre ripensava a quello che gli aveva detto il vecchio gufo.
“ Prosegui verso nord, e attraversa la valle ombrosa. Nel suo buio, tra i due picchi maestosi, si nasconde una città, dovrai attraversarla per forza se vuoi raggiungere la montagna successiva. E’ un posto sicuro per passare la notte, ma ricorda, non potrai veramente vedere la città se il tuo passo non sarà lento e silenzioso”.
Martin scese dal pendio ed attraversò le colline fino ad incontrare una fitta nebbia.
Ricordandosi delle parole del gufo pensò:”ci siamo, deve nascondersi qui”. Rallentò i passi e i pensieri, iniziò ad osservare. Nebbia fitta, sagome di alberi, foglie,fango ,alberi e ancora alberi.
Rallentò ancora, sentiva solo il rumore della pioggia. Gli sembrava di andare più lento del battito del suo cuore. Guardò ancora i piedi. Ad un tratto si accorse che non camminava più nel fango , ma su un viottolo di sanpietrini sconnessi. Aveva forse trovato la strada?
Ad una, ad una, nella nebbia apparvero sagome di tetti e comignoli fumanti.
Doveva essere di sicuro una città di viandanti, chi vorrebbe rimanere lì? Sembrava tutto così grigio , i passanti erano silenziosi e discreti. Iniziò a guardarsi intorno per capire dove cercare ospitalità.
La pioggia si fermò e poco a poco, iniziò a filtrare della luce. Il paesaggio prese immediatamente colore e Martin iniziò a distinguere quello che prima sembrava tutto grigio.
Camminando inciampava continuamente, ma non riusciva a guardare a terra, tanto era ammaliato dalle diverse abitazioni. Una casa era in legno come una baita accogliente dalle finestre con gli scuri rosso mattone; una era una torre color indaco, alta e affusolata con una scala piccola piccola che le girava intorno; una era in cartone pieghevole, colorata ad acquerello. Una aveva persino i muri trasparenti, attraverso cui si intravedevano tappeti colorati coperti da comodi cuscini, chi abitava lì forse non aveva paura di essere osservato. Fu accecato da un bagliore momentaneo: era una casa con mille spigoli, tanto da sembrare rotta in ogni sua parte. Appena il sole la raggiungeva rifletteva la luce in ogni angolazione, brillando come una preziosissima pietra.
Vide un anziano camminare lento, con un pacchetto sottobraccio. Martin lo intercettò con un timido saluto e gli chiese: ‘Potrebbe indicarmi un posto dove trovare ristoro questa notte?’. Il vecchietto disse con un sorriso: “ In questa città , ovunque busserai, ti verrà offerto un thè caldo ed un comodo letto per riposare.“
“Che città è mai questa, che accoglie uno straniero senza timore?” Martin si lasciò sfuggire un’esclamazione di sorpresa.
“Seguimi, se vuoi, e capirai” . Il vecchietto girò l’angolo ed entrò in una porticina piccola piccola, nascosta nel muro. Martin lo seguì. Era al buio, scesero delle scale a chiocciola molto lunghe ed arrivarono in quello che ai piedi di Martin sembrava un prato.
Martin riusciva a vedere solo i suoi passi e quelli dell’anziano che camminava davanti a lui. Entrarono in qualcosa di simile ad un gigante cestello di legno. Sentì il vecchietto che girava una manovella, e poi uno scricchiolio di ingranaggi. Sentì lo stomaco sollevarsi, si erano staccati da terra! Ma cosa stava succedendo? Martin vide finalmente della luce raggiungere i suoi piedi immobili, poi vide le toghe di legno su cui si era seduto, poi delle corde che erano legate a qualcosa in alto e poi…un gigantesco pallone sopra la sua testa.
Era su una mongolfiera! “Non volevo spaventarti, ma non credevo saresti venuto” disse il vecchietto “vedi, da qui si vedono tutte le nostre case , e anche un po’ di cielo. Rimanendo nella nebbia a volte ce lo dimentichiamo, così ogni tanto vengo qui”. Martin era confuso “Non capisco ancora”. L’anziano sorrise “In pochi arrivano qui, e ancora di meno decidono di abitare questo luogo. Come vedi, chi rimane, diventa casa lui stesso, costruendola con quello che è e con quello che ha.”
Martin era confuso da quelle parole, non gli sembrava di aver ricevuto una vera risposta. Poi il vecchietto stese un caldo tappeto a terra e mise a bollire dell’acqua. Aprì un pacchetto di biscotti e versò il thè.
Seduto a gambe incrociate sul tappeto, con il thè caldo fra le mani, Martin si sentì a casa.
In un attimo capì : questo era uno spazio in cui poter essere fragili.
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