di Fiorella Bartolomucci
Come si racconta un viaggio?
Ci vuole poesia, ma ci vuole anche concretezza.
Ci vuole cuore, ma ci vuole anche la parte della razionalità.
Ci vogliono le immagini, ma necessita anche di parole.
Il racconto di un viaggio è cosa grossa.
Il racconto di un viaggio Esf è cosa complessa.
Il racconto del viaggio Esf in Madagascar è cosa assai grossa e complessa.
Facciamo così, io comincio con il Prequel, poi i miei compagni di viaggio aggiungeranno il resto:
“Fiore ti va di fare la tutor per il viaggio in Madà?”
“Certo che mi va! Quando mi ricapita? Anzi grazie!”
Ecco più o meno è andata così, l’inizio di questa storia, per chi non lo sapesse Educatori senza Frontiere organizza i viaggi affidando il gruppo di volontari a qualche volontario più anziano e formato, essendo io in associazione da 11 anni (non indagando oltre sulla mia età anagrafica) diciamo che ricopro bene il ruolo della Vecchia Tutor.
Da quando ho detto Sì a questa proposta, a questa opportunità sono iniziati i lavori di progettazione e gestazione del viaggio:
1) conoscenza dei volontari che formano il gruppo, ci siamo conosciuti in presenza e in differita in Cascina, alla formazione di Maggio, desideri, aspettative, curiosità, prime attività insieme, incontro e voglia di mettersi in gioco;
2) cura e formazione del gruppo, appuntamenti online in cui ci conosciamo meglio, mettiamo in comune i talenti, ci raccontiamo le idee, i nostri saper fare, le nostre esperienze precedenti, potremo fare questo, una volta ho fatto quest’altro;
3) creazione gruppi whatsapp, maialing list, 1280 domande alle nostre Cri, G. E La Dottora (Coordinatrice, Responsabile della formazione e Medico di riferimento), 1400 domande alle nostre Cc e Bianca (coordinatrice comunità Ambalakilonga e educatrice Senior), grazie fra l’altro per tutta la pazienza;
4) preparazione pratica della partenza: vaccinazioni, documenti, tamponi, reperimento materiali, anche questo avendo sempre cura del gruppo, condividendo informazioni, dividendosi i compiti, in un asse Altamura/Varese che ha coperto praticamente tutto lo stivale.
Quando tutto è stato pronto, eravamo pronti anche noi, eravamo finalmente insieme, con una pizza in Cascina abbiamo suggellato il momento pre partenza, era la sera prima, i nostri cuori increduli si stavano davvero per mettere in viaggio.
Siam partiti poi, 1280 ore di viaggio in cui ognuno finalmente è stato semplicemente sé stesso.
Da qui ha preso vita quello che mi piace definire “una meravigliosa danza”, attraverso un gioco di equilibri, dove ti faccio spazio se serve, imparo a prendermi il mio, e ti sorreggo se cadi, ma lascio anche sorreggermi, e ti abbraccio quando serve, o magari quando ne ho bisogno io, e poi ti faccio ridere e magari anche riflettere, accettando quando quel bisogno lo cogli tu nei miei confronti. E si, lo ammetto ogni tanto ti rispondo un po’ male, e magari mi becco la tua risposta piccata, ma trovo sempre un modo per ricucire, o nel caso lasciar cadere.
7 Persone diverse, che una volta arrivate sul posto son diventate 13, non era scontato funzionare, non era scontato avere sguardi attenti al compagno di viaggio, danzare così, accordati e a tempo.
Seduti intorno ad un tavolo abbiamo man mano progettato tutte le attività che abbiamo portato avanti in 3 settimane, documentando, parlando, confrontando, valutando abbiamo avuto modo di vivere un’esperienza profonda e arricchente dal punto di vista formativo.
Non vi svelo di più, nei prossimi articoli sono sicura che i miei compagni di viaggio sapranno raccontarvi di queste meraviglie, dei ragazzi che abbiamo incontrato, delle attività che abbiamo fatto insieme, delle emozioni che ci hanno accompagnato, di chi ci ha accolto come se fossimo Famiglia, di quel luogo che è Casa.
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