di Flavia De Marchis

Spesso non ci sono le giuste parole per raccontare un sentimento, un’esperienza, uno sguardo.

Alla fine le parole le trovi, ma senti che non rappresentano in pieno il messaggio che vuoi tramettere. Così delle volte scegli il silenzio, quello che non è egoismo ma accoglienza, semplicità e comunione.

In questa settimana passata sull’isola d’Elba, con i ragazzi e le ragazze della Mammoletta, è successo qualcosa di magico. In fondo non ci conoscevamo, ma ci stavamo aspettando, e ci siamo ritrovati.

Ci siamo ritrovati in un cerchio, tutte le mattine, tutti i pomeriggi, prima e dopo di un’attività.

Ci siamo ritrovati in un cerchio per parlare, ascoltare, sentire nella pancia.

Ci siamo ritrovati in un cerchio perché è importante ricordare e ricordarci che siamo tutti sullo stesso piano, perché la relazione educativa è a doppio senso.

Ci siamo ritrovati in un cerchio che è un circo, che arriva, fa quello che deve fare, e riparte.

E ancora una volta la parola “cerchio” è riduttiva e vi spiego il perché.

Possiamo immaginare delle persone disposte in cerchio, una accanto all’altra in piedi o sedute.

Bene.

Possiamo immaginare delle persone sedute sulle gradinate, fisicamente fuori dal cerchio, come degli spettatori. Ma questi spettatori sono attivi, fondamentali, in attesa del loro tempo, pronti a donare al gruppo quel tassello che proprio mancava. No, non possiamo proprio dire che queste persone non abbiano fatto parte del cerchio.

E ancora.

Possiamo immaginare delle persone fuori dal cerchio, lontano dagli spalti, nelle loro stanze. Ecco. Sembrerà strano, ma c’erano anche loro. Le abbiamo aspettate, come i regali a Natale, che sai che ci sono, ma ancora non è tempo di aprirli. E può capitare che a volte sai anche quello che ti hanno regalato, ma al momento di scartare la carta senti l’euforia della sorpresa.

Si.

Possiamo immaginare delle persone fuori dal cerchio, lontano dagli spalti, lontano dalle loro stanze. Sono le persone che non sanno che quello è il loro posto, ma il cerchio sta lavorando anche per loro, per accogliere, per essere guida, per camminare insieme a chi verrà.

Giorni intensi sull’isola d’Elba perché non è facile mettersi in gioco, togliersi la maschera o comunque provare a farlo. E la cosa bella è che abbiamo veramente giocato, riso, ballato. Abbiamo anche avuto paura di stare in alto, di non essere in grado di sorreggere, di non essere all’altezza. Abbiamo avuto paura di sbagliare, sbagliare davanti a tutti, di sembrare ridicoli. Abbiamo avuto tanta paura, ma lo abbiamo fatto lo stesso. Ed è stato un successo.

E’ stato un successo perché ad un certo punto la paura di sbagliare, cadere, sembrare ridicoli, è stata messa al centro del cerchio, e se una cosa è al centro del cerchio è di tutti, e se è di tutti vuol dire che non siamo soli e che possiamo giocare insieme.

Già. Alla Mammoletta abbiamo giocato tantissimo.

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