Durante il servizio civile lo scorso anno, il nostro educatore Lorenzo Bertoni, ha raccolto alcune storie, le abbiamo conservate in un cassetto, ma ora ci piacerebbe condividerle con voi.
Le storie sono ambientate in Honduras e sono raccontate da ragazzi ospiti della nostra Casa Juan Pablo II di El Paraiso.
di Fernando Elvir
Mi chiamo Fernando Elvir, ho 21 anni e sono nato a Tegucigalpa, in un quartiere molto pericoloso, dove è necessario essere sicuri delle proprie idee, perché è facile uscire dal buon cammino, e dove spesso i bambini e gli adolescenti sono privi di figure genitoriali.
Ho avuto un’infanzia difficile; i miei genitori si sono separati e sono rimasto solo con mia mamma che mi ha insegnato che solo attraverso la fatica si possono raggiungere dei risultati.
Raggiunta l’adolescenza ho deciso di lasciare casa, nonostante sapessi che la vita sarebbe stata più complicata; ora posso dire che è stata una pessima idea. Sono comunque riuscito a trovare un lavoro all’interno di un ufficio, nulla comparato al lavoro dei contadini nei campi. Non si può comparare una penna con un aratro.
Dopo aver perso il mio lavoro, sono riuscito ad essere assunto da una impresa in cui ho lavorato per cinque mesi prima di licenziarmi. Arrivato a questo punto, non riuscivo a trovare un altro lavoro, tutti i posti sembravano occupati, l’unica cosa che riuscivo sempre a trovare libera, era la terra fredda e inospitale che mi aspettava come letto.
Due settimane dopo, ero dentro il mondo della droga; mi sentivo perso. Distrutto ed affamato ho cercato un lavoro come muratore. Per sette mesi ho lavorato come muratore apprendista; il salario era pessimo e il lavoro massacrante ma per lo meno potevo guadagnare i soldi necessari per non continuare a dormire per strada. I soldi mi bastavano solo per dormire e mangiare.
Passati sette mesi ho visto un volantino che diceva che Tigo (una delle compagnie telefoniche più importante in Latino america) cercava un impiegato che avesse delle conoscenze dei sistema mobili, questa é stata la possibilità per lasciare il lavoro da muratore e iniziare un lavoro che mi piacesse e per cui avessi studiato. Ho lasciato il curriculum e dopo un colloquio il lavoro era mio; il salario era molto alto e il lavoro decisamente meno faticoso del precedente, nonostante questo, lo lasciai, prendendo l’ennesima pessima decisione della mia breve vita.
Essendo una persona sola e senza responsabilità, ho usato tutti i soldi risparmiati per alimentare il vizio della droga. Il lavoro era diventato il mezzo per alimentare la mia dipendenza, a discapito del mio futuro.
Dopo un’ulteriore ricaduta nella droga, sono riuscito ad identificare il mio problema e ho incontrato Casa Juan Pablo II, un luogo che mi ha offerto l’aiuto di cui avevo bisogno.
Volevo dare una svolta completa alla mia vita, migliorando sia la mia condizione fisica che mentale. All’interno del centro mi insegnano cosa sia il lavoro di squadra e la fratellanza, elementi indispensabili per aspirare ad una vita migliore.
Ho aperto nuove porte per diventare una persona esemplare ed integrarmi nella società senza essere una piaga; ricordandomi sempre che per raggiungere un risultato bisogna sudare.
Attraverso il lavoro alimento la mia voglia di vivere e non più la mia dipendenza, pensando con maturità che il lavoro non sia fatto per sprecare i soldi guadagnati in cose che non servono, ma piuttosto, per beni indispensabili come il cibo.
Il lavoro in Casa Juna Pablo II è importante, ho imparato a dargli valore, perché attraverso esso si ringrazia il centro per l’aiuto che ti sta dando nel diventare una persona migliore. La strada non insegna tutto questo; là fuori non hai fratelli, ognuno pensa per sé, sapendo che nessuno dipende da te e che tu non dipendi da nessuno.
Nessuno può sopravvivere solo, ognuno ha bisogno di un aiuto.
Stando in Casa Juan Pablo II mi sono sentito libero mentalmente, sapendo chiaramente cosa voglio e come posso migliorare la mia vita.
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